Amal Alamuddin nasce in Libano da una famiglia benestante. Il padre, Ramzi Alamuddin, con un master in economia presso l'Università americana di Beirut, è proprietario di un'agenzia di viaggi. La madre, Bariaa Miknass, musulmana sunnita, è giornalista e corrispondente del quotidiano Al-Hayat, nonché cofondatrice di una società di pubbliche relazioni e promozione di eventi. La famiglia è di religione drusa, originaria della città di Baakline, nella regione Chouf[5][6]. Nel 1980, all'intensificarsi della guerra civile libanese, la famiglia lascia il paese alla volta dell'Inghilterra, dove vivrà nel sobborgo di Gerrards Cross, Buckinghamshire, a nord ovest di Londra. Il padre fa ritorno in Libano nel 1991, per insegnare alla Beirut American University. Amal Alamuddin ha una sorella minore Tala e due fratellastri maggiori, Samer e Ziad[7] dal primo matrimonio del padre[8]. Parla correntemente arabo, inglese e francese.
Dopo il diploma alla Dr Challoner's Grammar High School di Little Chalfont, Buckinghamshire[9], ha studiato Giurisprudenza al St. Hugh's College, di Oxford conseguendo una laurea BA/LLB ed il premio Exhibitioner, Shrigley Award nel 2000; l'anno dopo si è specializzata alla New York University School of Law della New York University, dove ha conseguito il premio Jack J. Katz Memorial Award. Nel 2002 ottiene l'abilitazione di avvocata a New York, nel 2010 quella valevole in Inghilterra e Galles (Inner Temple).[10]
A New York inizia a lavorare presso lo studio Sullivan & Cromwell, dove segue come penalista il caso Enron[11]. Lavora poi a Londra presso lo studio legale Doughty Street Chambers. Si è occupata della difesa di personaggi noti, come Julian Assange e Julija Tymošenko[12], e Abdullah Senussi, alto funzionario della Libia di Gheddafi.
Autrice di numerosi saggi e pubblicazioni in campo giuridico e, in particolare, del Diritto penale internazionale, visiting alla Columbia Law School’s Human Rights Institute, Alamuddin ha insegnato Diritto penale nella University of London e presso la Hague Academy of International Law[13].
È stata consigliera di Kofi Annan, sulla questione siriana. Sempre per l'ONU, è stata consigliera della commissione sull'assassinio del premier libanese Rafik Hariri. Nel mese di gennaio 2015, Amal ha iniziato a lavorare sul riconoscimento del genocidio armeno.[14]
Nel settembre 2021, la Corte penale internazionale (ICC) ha nominato Amal Clooney consigliere speciale per il conflitto sudanese in Darfur.[15]
Vita privata e impegno sociale
Dal 29 settembre 2014 è sposata con l'attore statunitense George Clooney. Il matrimonio civile è stato celebrato a Venezia dal politico Walter Veltroni. Il 6 giugno 2017 ha dato alla luce due gemelli: Ella e Alexander Clooney.[16] Amal è attiva nella vita mondana del Jetset e considerata un'icona di stile indiscussa nel panorama della moda,[17] insieme al marito e alla sua famiglia è molto attiva nella beneficenza. Durante l'emergenza sanitaria legata alla COVID-19 la coppia ha donato oltre un milione di dollari alle organizzazioni mediche impegnate nell'assistenza dei malati e di assistenza sociale, tra cui: The Motion Picture and Television Fund, il SAG-AFTRA FUND e il Los Angeles Mayors Fund.[18] Amal e la sua famiglia hanno anche aperto la loro dimora estiva a Laglio, sul lago di Como, per beneficenza, con i soldi dell'iniziativa è stata finanziato parte del lavoro della Fondazione Clooney, che si occupa di promuovere la giustizia e i diritti umani in giro per il mondo.[19][20][21]
Alamuddin Amal, Philippa Webb. 2010. "Expanding Jurisdiction Over War Crimes Under Article 8 of the ICC Statute". Journal of International Criminal Justice. 8, no. 5: 1219–1243. ISSN 1478-1387 DOI: 10.1093/jicj/mqq066OCLC775833494
Zidar Andraž, Olympia Bekou. Contemporary Challenges for the International Criminal Court. London: British Institute of International and Comparative Law, 2014. ISBN 978-1-905221-51-6OCLC871319445
Amal Alamuddin, "The role of the Security Council in starting and stopping cases at the International Criminal Court: problems of principle and practice", pp. 103–130. OCLC880373008