Come indica la comune radice dei due termini, il confine tra "ospedale" e "ospizio", cioè tra struttura di cura e struttura di contenimento, fu abbastanza labile fino all'età dei lumi: si trattava, in entrambi i casi, di fornire ricovero, cibo ed eventualmente cure - ma anche contenimento - a persone che non erano in grado di provvedervi autonomamente, e che per questo stesso fatto costituivano un fenomeno disturbante e allarmante per l'ordinaria gestione della città. La Chiesa, che nello stato pontificio gestiva anche il potere amministrativo e civile, fu perciò il primo soggetto che, a Roma, istituzionalizzò le attività di sostegno ai poveri, esaltandone ideologicamente il carattere religioso e caritativo, ma anche costituendone le forme segreganti.
Numerosi furono i punti di assistenza, complessivamente definiti "luoghi pii", istituiti e gestiti da vari soggetti: "Nazioni", cioè stati esteri al Pontificio, "Università", ovvero associazioni professionali, ordini religiosi e anche da alcuni benefattori privati.
[1]
Nella seconda metà del Cinquecento la crisi economica seguìta al Sacco di Roma e alla diminuzione delle entrate provenienti dai paesi protestanti, accentuò drammaticamente i fenomeni di povertà urbana[2]. La miseria del popolo, che la carità pubblica e quella privata non riuscivano a sollevare, generava anche problemi che oggi chiameremmo di ordine pubblico[3]. Per la città vagavano infatti torme di miserabili - infittite da immigrati di vario genere: contadini e braccianti che l'estendersi del latifondo aveva privato della sussistenza, pellegrini arenati nell'Urbe, gente senza mestiere - che apparivano particolarmente pericolosi se giovani, come "i Fanciulli, e Giovani discoli, che inquietano la Città, o che per castigarli si consegnano da' proprj Parenti alla Giustizia, acciò siano corretti"[4]. Non stupisce quindi che sia stato Sisto V, il grande programmatore della Roma controriformista, a creare il primo punto di assistenza sociale istituzionalizzata: fu, questo, l'Ospedale dei poveri a via Giulia, costruito da Domenico Fontana a Ponte Sisto nel 1586-1588, e dotato di rendite atte a coprirne i costi[5].
La fabbrica: ospizio apostolico e carcere
La fondazione dell'ospizio apostolico, un secolo dopo, è legata alla ugualmente papale famiglia Odescalchi[6]. Si vede bene, dalla cronologia degli edifici, come l'"ingegnerizzazione" dell'assistenza pubblica stesse stabilendo una profonda connessione, anche topografica e urbanistica, tra le esigenze puramente assistenziali e quelle contenitive.
Il primo nucleo dell'opera fu stabilito nella proprietà Odescalchi immediatamente alle spalle del porto di Ripa Grande, affinché un nuovo edificio accogliesse gli orfani assistiti dall'opera pia di famiglia, e li indirizzasse ad apprendere un mestiere. Il progetto comprendeva, a questo scopo, botteghe artigiane ed un lanificio: la collocazione del nuovo edificio sulla riva del Tevere era quanto di più opportuno potesse darsi, a tal fine[7].
Anche sulla base dell'esperienza fatta con l'opera alla quale aveva contribuito già da quand'era cardinale, Innocenzo XII decise dunque nel 1693 di riorganizzare l'assistenza pubblica di Roma, cominciando con il raccogliere in un'unica istituzione e in un unico luogo l'infanzia abbandonata, e progettando di concentrarvi anche le altre categorie di poveri assistiti che erano all'epoca collocati a Ponte Sisto e al Palazzo lateranense.
Il suo successore Clemente XI pensò tuttavia che fosse prioritario aggregare, all'ospizio per gli orfani, il carcere per i minorenni ("correzionale"), e nel 1704 fece costruire a questo scopo su progetto di Carlo Fontana, dal lato verso Porta Portese, un nuovo corpo di fabbrica[8], dettandone personalmente il regolamento.
Lo stesso papa, nel 1708, iniziò l'ampliamento della fabbrica dall'altro lato, verso Santa Maria dell'Orto, per farvi l'edificio per l'ospizio dei vecchi, un cortile destinato a servizi, una grande chiesa, l'ospizio delle vecchie (riprendendo così il progetto di Innocenzo XI), e sopraelevando, per dormitori e stenditoi, i cinque corpi di fabbrica.
Clemente XII fece infine costruire da Ferdinando Fuga, ultimo edificio verso Porta Portese, il carcere delle donne, collegato all'ospizio dei fanciulli da un ulteriore corpo di fabbrica più basso, che venne destinato a magazzini e caserme per la dogana, per costituire ulteriori spazi di servizio e fonti di rendita. Nel 1735 il complesso si poteva dire completato, nell'aspetto che conosciamo oggi, e che è riprodotto nella pianta del Nolli.
Le ultime modifiche alla fabbrica furono apportate da Pio VI nel 1790, aggiungendo dopo la chiesa (che nel progetto del Fontana doveva essere a croce greca, ed era rimasto invece con una pianta a T) una nuova ala destinata a conservatorio delle zitelle, come era stato nel progetto di Clemente XI. La chiesa stessa fu completata solo nel 1835 da Luigi Poletti, che fu anche insegnante nell'Istituto, e costruttore di una ruota idraulica destinata a cavare acqua (potabile) dal pozzo dell'Istituto.
Nell'Ottocento venne anche destinato a carcere per i detenuti politici.
Restauro e riuso moderno
La funzione assistenziale dell'ospizio apostolico decadde con l'unità d'Italia, essendo venute meno le rendite e le privative che ne garantivano la vita economica, e decadute le scuole d'arte. Del complesso, passato al Comune nel 1871, rimase attiva la funzione carceraria: le strutture destinate al carcere femminile, alla dogana e al correzionale vennero infatti unificate e andarono a costituire l'Istituto Romano S. Michele, che venne interamente destinato a carcere minorile, e intitolato ad Aristide Gabelli mentre il resto dell'immobile fu abbandonato. Nel 1938 l'Istituto fu trasferito a Tor Marancia, che era allora estrema periferia; al San Michele rimase solo il riformatorio, attivo fino al 1972. Il resto dell'immobile restò praticamente abbandonato, divenendo rifugio di sfollati durante la guerra, e poi di senza tetto - fino all'inagibilità.
L'immobile fu acquisito dallo Stato nell'agosto 1969, e destinato a sede dell'allora Direzione centrale Antichità e belle arti del ministero della pubblica istruzione (entrata a far parte, dal 1975, del nuovo "Ministero per i beni culturali e ambientali" (oggi Ministero della cultura). Dopo più di tre anni di progettazione, nel 1973 iniziarono il risanamento, il restauro e la messa in sicurezza, che interessarono l'intera struttura, dai tetti ai pavimenti crollati, alle fondazioni da consolidare. Lo stato di degrado era tale che ancora nel 1977 crollò un'ala dell'edificio verso via del Porto[9]. Gli spazi interni furono completamente ristrutturati, salvaguardando ove possibile gli elementi costruttivi originali, e il complesso destinato a centro direzionale di attività pubbliche relative a beni culturali e ambientali.
Nell'edificio sono allocati attualmente i seguenti uffici del Ministero della cultura[10]:
Segretariato regionale del Ministero della cultura per il Lazio;
Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma.
Descrizione
Il grande complesso trovò destinazione e dimensioni definitive in una cinquantina d'anni, tra i pontificati di Innocenzo XIOdescalchi e di Clemente XIICorsini. Vi contribuirono vari progettisti: il primo fu Mattia de Rossi, cui seguì Carlo Fontana; vi partecipò anche, per il carcere femminile, Ferdinando Fuga.
La sequenza degli spazi è individuabile nella pianta settecentesca del Nolli, redatta quando l'edificio era ormai completato nelle sue numerose aggiunte. Da sinistra, subito all'interno della porta Portese e di fronte alla dogana di Ripa Grande, si susseguono (i numeri sono quelli della pianta del Nolli):
1128: chiesa della Trasfigurazione (aperta nel 1715, ripresa e conclusa nel 1835)
1129: ospizio per le donne invalide (completato nel 1729).
L'edificio, costruito all'estremo limite della città, è di dimensioni rilevantissime: 334 metri di lunghezza, 80 di larghezza media tra il fiume Tevere e la via di San Michele, per una superficie complessiva di oltre 2 ettari e mezzo (26.720 m²) ("non comprese le strade che la circondano né lo spazio della dogana di ripa ch'è però proprietà dell'ospizio"). Lungo il Tevere ha tre piani sopra il piano terra, ma ognuno dei cinque corpi di fabbrica è sopraelevato da un attico, sicché risulta alto 21 m fino al cornicione e 25 in totale[12].
Oltre agli spazi residenziali, ben distinti e separati per categorie di assistiti, l'ospizio comprendeva spazi per manifatture artigianali, cui venivano assegnati gli ospiti in condizione di lavorare; tali attività - lanificio, fabbrica della seta, fabbrica degli arazzi, stamperia - costituirono parte integrante del progetto fin dalla sua fondazione[13]. Ognuna di esse era finalizzata a produrre per un mercato certo, pubblico e privilegiato ("privativa"): il lanificio produceva tessuti per il palazzo apostolico e per i soldati, la seteria - riservata alle donne - per arredi e paramenti sacri, e così anche l'arazzeria; la stamperia infine produceva principalmente libri per le scuole elementari[14].
I moduli si snodavano attorno a otto cortili (di cui i due maggiori, quello dell'ospizio dei Fanciulli e quello dell'ospizio dei Vecchi, erano i principali). Gli ambienti a piano terra verso il porto di Ripa erano utilizzati, in affitto, da privati per attività commerciali e artigianali.
Nel complesso erano due chiese: la grande, di cui s'è detto, intitolata a san Salvatore degli invalidi e a san Michele, ricostruita in luogo della prima cappella costruita da Mattia de Rossi per il primo fabbricato Odescalchi, e una cappella più piccola e rifatta in sostituzione di un'antica - Santa Maria del Buon Viaggio - con accesso sulla riva, frequentata dalla gente del porto[15].
Cinema e televisione
Negli anni settanta e ottanta, il Complesso monumentale di San Michele a Ripa Grande fu anche utilizzato come location per le riprese di alcune produzioni cinematografiche e televisive. Di seguito un elenco delle produzioni in questione[16]:
^Si veda in Tosti, Relazione dell'origine..., cit., p. 1:
«Fin dai tempi di Pio IV e di Gregorio XIII cominciò la miseria a crescere sensibilmente ed occupò sempre più gli animi de' sommi pontefici.»
^Si veda in particolare, in Paglia, La Pietà dei Carcerati cit., "I poveri a Roma nella seconda metà del sec. XVI", pp. 46-54
^Così in Pietro Rossini, Il Mercurio errante delle grandezze di Roma, Roma 1741, p. 102, si definiscono gli ospiti della Fabrica di San Michele a Ripa Grande, "impiegati in lavorar la lana, e particolarmente negli Esercizj di Pietà.".
«Erse a questo fine, e a proprie spese con architettura del cav. Domenico Fontana l'ospedale de' poveri presso ponte sisto, oggi ospizio de' cento preti, sicché allogati vi fossero e mantenuti, con oratorio, refettorii, dormitorii, orti, masserizie ed ogni altro apparecchiamento necessario all'abitar separato di persone d'ambo i sessi. Ne ordinò il reggimento e l'amministrazione, lo fornì riccamente di rendite e dotazione, come raccogliesi dalla bolla sopracitata [Quamvis infirma del 1586]»
^Si veda
in Fioravante Martinelli, Le magnificenze di Roma antica, e moderna, Roma 1725, p. 31:
«L’Abbate Tommaso Odescalchi che fu Canonico di S Pietro & Elemosiniero del Santo Pontefice Innocenzo XI essendo a tutti ben nota la sua bontà, carità, e zelo, fabbricò e fondò questo insigne Luogo pio al quale fu aggiunta dalla pietà di Clemente XI di fa[usta] me[moria] una ben intesa fabbrica chiamata casa alla correzione per correggersi ivi con qualche severità la mala vita de’ fanciulli oziosi, e discoli. Vi fu inoltre accresciuta altra fabbrica con Chiesa per l’abitazione de’ poveri vecchi di S. Sisto quà trasferiti; e di più si è dilatata, e resa sana la strada alla riva del fiume.»
Un secolo dopo, tuttavia, Morichini in Degl'Istituti di pubblica carità cit. p. 159, specifica così il ruolo degli Odescalchi:
«Marcantonio Odescalchi sacerdote nobile comasco di vita innocentissima e ottimi costumi, tutto pieno di Dio, fu così ardente di segnalata e apostolica carità verso i poveri di tutte le nazioni del mondo cristiano, ch’era famoso a tutte le genti straniere il suo nome come di padre universale e comune de’ bisognosi […] onde mosso a pietà e de’ forestieri raminghi e de’ nostrani bisognosi e miserabili aprì con generosa risoluzione l’anno 1650 una casa di pubblico ricetto e ricovero della povertà nel rione di Ripa unita a Santa Maria in Portico. Qui fu ove il buon sacerdote Odescalchi esercitò opere e virtù segnalate che sono note al mondo. Qui egli con più di cinquecento e seicento letti, e talvolta più di mille come nel tempo de’ maggiori concorsi e bisogni, diede ricetto ad infiniti poveri [...]. Morto Marcantonio nel 1670 il card. Benedetto Odescalchi, che avea particolare affetto alla pia opera, vi fece sopravvegliare Tommaso Odescalchi, quel desso a cui devesi l’istituto de putti alunni dell’ospizio apostolico, e dopo che fu assunto al pontificato ne affidò la cura al duca don Livio suo nipote. Questi intraprese la riedificazione della chiesa e dell’ospizio compiuti il 1724 con disegno di Mattia De Rossi. L’ospizio fu appresso ingrandito dal duca don Baldassare della stessa nobilissima famiglia che seguita tuttora a tutelare e dirigere sì bell’istituto di carità.»
^Monsignor Tommaso Odescalchi aveva raccolto una trentina di ragazzi orfani all'ospizio di santa Galla, e già nel 1686 era stata costruita la prima struttura dell'ospizio apostolico. Così la descrive il Tosti nella Relazione.. citata, p. 4:
«È questa fabbrica quella stessa che oggidì circonda il cortile così detto de ragazzi, come per le iscrizioni lapidarie ivi tuttora esistenti si può certamente affermare. Questo edificio dal lato di ripa avea nella parte inferiore magazzini il cui appigionamento andava in sussidio degli orfanelli. Nel piano superiore livellato colla strada di S. Michele erano la cappella ed altri ambienti con portico ad archi. Nel terzo piano (secondo dalla parte della strada di S. Michele) fu stabilita l'azienda, similmente con portico ad archi soprapposto al primo. Nel quarto ed ultimo piano l'abitazione de' PP. delle Scuole Pie, a cui fu affidata l'educazione morale e spirituale di que' fanciulli. Due ale perpendicolari alla descritta aveano nel primo piano le officine delle arti; posciaché, come si è detto, monsig. Odescalchi volle che ad assicurarne la bontà de costumi fossero in casa propria gli orfani alle medesime educati. Nella parte di sopra erano i dormitorii, refettorii, ec., le quali cose tutte tengono anche oggidì del primitivo disegno. Il quarto lato dell'edificio sulla strada di S. Michele era un muro di cinta che chiudeva uno spazio scoperto, o piazza con fontana nel mezzo ad uso delle botteghe, e della ricreazione de giovani, come vedesi ancor di presente. Dal che può ciascuno di leggieri argomentare quanto in prima per noi ideati e perfetti fossero que' conservatorii delle arti che sono oggidì in tanto grido saliti presso le straniere nazioni.»
^un vero prototipo di panopticon, sebbene di forma rettangolare. Queste carceri infatti
«formano un vero modello delle grandi e comunque più estese carceri di penitenza della Svizzera dell'Inghilterra e dell'America. [...] Consistono queste carceri in una vastissima sala rettangolare ne' cui lati maggiori sono a tre ordini sessanta carceri con due finestre opposte per favorire la ventilazione. La sala serviva di officina e nel fondo con altare e sagrestia anche di oratorio. Un sol custode vedeva a colpo d'occhio ciò che si faceva dai carcerati.»
(Tosti, op. cit. p. 7)
^L'ex Istituto San Michele (PDF), su pabaac.beniculturali.it, www.pabaac.beniculturali.it. URL consultato il 16 novembre 2012 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
^Per la situazione a metà dell'Ottocento si veda Adone Palmieri, Topografia statistica dello Stato Pontificio, Roma 1857, pp. 73-75. A pieno regime, la popolazione del San Michele (che godeva di una rendita annua di 50.000 scudi) era così composta: 250 ragazzi, 170 "zitelle"; i vecchi erano 150, le vecchie 90, 60 erano le celle per i "discoli". Attorno ai circa 600 residenti ruotava poi altro personale, destinato ai servizi, all'addestramento dei giovani e anche alla gestione delle attività manifatturiere; il lanificio, in particolare, occupava un migliaio di addetti, la metà dei quali nello stabilimento dell'ospizio, e gli altri sparsi per la città. Aggiunge il Palmieri:
«Vi si lavorano pure cotante altre cose di arti liberali e meccaniche, che in ogni anno nella solenne Festa, il dì 29 settembre, espongonsi fra un grande concorso di gente alla pubblica esposizione; tal che San Michele vera scuola politecnica, è il più grande e magnifico istituto d'Europa, anzi nel suo genere, unico nel mondo.»
^A supporto delle manifatture l'ospizio fu dotato fin dal 1693, da Innocenzo XII, di una derivazione dell'acqua Paola a proprio esclusivo beneficio, dotazione che fu poi aumentata di 1/3 nel 1703 da Clemente XI. Per l'acqua potabile, tuttavia, si doveva fare ricorso a pozzi (si veda in proposito Tosti, Relazione... cit., passim).
«Sotto alla gran Facciata di questa gran Fabbrica si vede la nuova Chiesuola di S. Maria del Buon Viaggio, così chiamata da' Marinari. Era già situata vicino al Fiume con titolo di S. Maria della Torre, per una Torre fattavi edificare da S. Leone IV circa l’anno 848 più elevata d’alcune altre poco distanti sulle rive del Tevere, per impedire le scorrerie de Saraceni che venivano bene spesso pel Fiume a danneggiare la Città.»
Lorenzo Buracchio, Enrico da Gai, Rendite stimate e rendite effettive: le case dell'Ospizio Apostolico dei poveri invalidi di San Michele a Ripa Grande, in L'Angelo e la città, secondo volume, Roma 1988, pp. 69–86.
Soprintendenza per i Beni Architettonici, il Paesaggio, il Patrimonio Storico-Artistico e Demoetnoantropologico di Roma (a cura di), L'ex Istituto San Michele (PDF)[collegamento interrotto], Viterbo, BetaGamma, maggio 2004. URL consultato il 7 aprile 2011.