Fiat Ferroviaria
La Alstom Ferroviaria S.p.A.[1], ancora conosciuta col precedente nome di Fiat Ferroviaria, è un'azienda del settore ferrotranviario appartenente ad Alstom (precedentemente Gruppo FIAT), fra le protagoniste nella realizzazione di veicoli ferroviari in Europa. Nata a Torino nel 1917 come "FIAT Sezione Materiale Ferroviario", cambiò ragione sociale in "FIAT Ferroviaria Savigliano" nel 1975 e in "FIAT Ferroviaria" nel 1988. Fu infine venduta nel 2000 alla società francese Alstom, assumendo il nome "Alstom Ferroviaria". Tra le realizzazioni più prestigiose si annoverano le automotrici termiche note con il nome di "Littorina", quelle della famiglia ALn 668 prodotte dal 1956 al 1983 per i mercati italiani ed esteri, e i primi treni al mondo ad assetto variabile, denominati "Pendolino", nonché un'estesa famiglia di carrelli utilizzati per materiale rimorchiato in tutto il continente[2]. Settori di attivitàPur indirizzata nel tempo alla costruzione di rotabili ferroviari di ogni genere, la produzione FIAT si caratterizzò in particolare per i treni leggeri a trazione termica e in seguito per il progetto di un carrello ferroviario particolarmente riuscito, idoneo sia al materiale motore che a quello rimorchiato. L'evoluzione tecnologica raggiunse l'apice con il progetto dei treni ad assetto variabile noti come "Pendolino". Automotrici termicheLa produzione di automotrici termiche fu quella che maggiormente caratterizzò la storia della FIAT Ferroviaria, che per l'intera esistenza sviluppò questo tipo di tecnologia avvalendosi dei paralleli progressi in campo motoristico e automobilistico. Le prime "carrozze automotrici"Lo studio delle prime automotrici per il servizio di linea, intese come veri e propri veicoli ferroviari e non più come "autobus su rotaia" o "tram a petrolio" su cui la FIAT si era cimentata sin dall'inizio del XX secolo, era condizionato dall'incertezza sul sistema di trasmissione da adottare, quella meccanica già di largo impiego sugli autocarri ma messa a punto solo per potenze limitate, o quella elettrica. La FIAT Sezione Materiale Ferroviario decise di non escludere a priori la trasmissione meccanica nonostante le maggiori incertezze che comportava, avviando nel 1924 e nel 1925 due progetti di automotrici con le dimensioni delle carrozze di linea, rispettivamente a trasmissione elettrica e meccanica[3].
Sia per la massa elevata del veicolo, sia per i limiti che caratterizzavano ancora la trasmissione elettrica, le automotrici TA 180 e TA 150 non furono in grado di raggiungere quei risultati di velocità, confortevolezza di viaggio, e quindi di immagine, tali da realizzare quel salto di qualità che avrebbe potuto dare impulso alla loro diffusione[4]. Le "Littorine"Nel pieno della crisi economica mondiale fu attuato lo studio e la realizzazione di un veicolo completamente nuovo, che riprendeva in parte, correggendone i difetti, l'esperienza poco esaltante della versione Diesel-meccanica della TA 150. La disponibilità di motori termici semplici e leggeri, sviluppati dalla FIAT per i veicoli stradali pesanti e lo sviluppo di cambi meccanici più moderni, consentirono di eliminare le criticità delle trasmissioni a bielle. Ripartendo da questa base il veicolo fu ripensato da zero in tutti i suoi componenti sviluppando tra il 1931 e il 1933 una notevole mole di studi che portò alla realizzazione di una nutrita serie di brevetti sviluppati nell'ambito di un rinnovato interesse generale per il settore ferroviario[5].. In tale ambito furono concepiti il cosiddetto "carrello FIAT di prima generazione" e la struttura integralmente portante cassa, realizzata in acciaio con rivestimenti in lega leggera secondo una tecnologia ispirata a quella dei dirigibili, per il cui progetto fu impiegato personale che aveva lavorato nello studio per il generale Nobile[6]. Le innovazioni nei motori, nella meccanica, nei carrelli e nella cassa di questi veicoli diedero origine a una famiglia di automotrici leggere a trasmissione meccanica. A fronte degli ottimi risultati che diedero durante la sperimentazione, le nuove automotrici furono presentate ufficialmente alle autorità in occasione delle cerimonie indette nel dicembre 1932 per celebrare la fondazione della città di Littoria nell'Agro Pontino bonificato, circostanza che determinò il nome di "littorina" per contraddistinguere il nuovo mezzo e quelli che ne derivarono[7]. Le prime Littorine nacquero equipaggiate con il motore a benzina nei tre modelli FIAT AU4.A, AU4.B e AU4.C corrispondenti alle classificazioni FS ALb 48, ALb 64 e ALb 80, i quali differivano sostanzialmente fra loro per il numero di posti a sedere e di conseguenza per lunghezza, massa e potenza: in particolare le ALb 48 e le ALb 64 erano automotrici con un solo carrello motore – rodiggio (1A)2' – che offrivano rispettivamente 48 e 64 posti, mentre le ALb 80 avevano entrambi i carrelli motori – rodiggio (1A)(A1) – e offrivano 80 posti; una di queste ultime intraprese un viaggio promozionale che la portò in Russia, a Mosca e sulla Leningrado-Soči, dove dimostrò di poter dimezzare il tempo di percorrenza tra le due città rispetto ai treni più veloci del tempo[6]. Degne di nota le automotrici ALb 25, messe in servizio sulla Foggia-Cerignola[8] ed entrò a far parte del parco FS[9]. Il primo servizio regolare con le littorine iniziò il 31 luglio 1933 sulla Torino-Santhià-Biella con un'ALb 48 e il successo del nuovo mezzo questa volta fu immediato, tant'è vero che nel 1937 il parco FS aveva già raggiunto i 250 esemplari di automotrici FIAT, che percorrevano giornalmente circa 41.000 km effettuando anche servizi di prestigio con nette riduzioni di orario e servizi turistici[6]. Su alcune relazioni importanti si ebbe anche un'intensificazione dei servizi rapidi che cambiò positivamente l'immagine della ferrovia, come per esempio le tre coppie giornaliere di rapidi no stop Torino-Milano del 1938, effettuate in un'ora e 24 minuti dalle automotrici Diesel-meccaniche ALn 40, che viaggiavano a 130 km/h su lunghe tratte[6]. Tra i numerosi modelli di automotrici leggere realizzate dalla FIAT Materfer negli anni trenta del XX secolo sono particolarmente rilevanti le ALn 56, automotrici Diesel-meccaniche a due assi motori con rodiggio (1A)(A1), e le loro derivate ALn 556, che consentirono il comando di due unità dallo stesso banco di manovra, e le automotrici a completa aderenza ALn 56 c.a., sviluppate in versione a quattro assi motori con rodiggio B'B' per la ferrovia Paola-Cosenza, le cui pendenze fino al 60‰ determinarono, sebbene limitata al freno, anche l'uso della cremagliera[6]. Le "Automotrici Ferroviarie Sperimentali" e le OM 72Nel 1937 la direzione aziendale costituì l'Ufficio Tecnico Automotrici Ferroviarie Sperimentali (UTAFS), in cui vennero fatte confluire professionalità ferroviarie, aeronautiche e automobilistiche con lo scopo di studiare e costruire a spese FIAT alcuni esemplari di automotrici di nuova concezione, inglobandovi il meglio consentito all'epoca dagli sviluppi tecnologici e dalle conoscenze acquisite dall'azienda negli anni di esercizio del numeroso parco di littorine in circolazione. L'UTAFS impostò subito due progetti: quello dell'automotrice monomotore L101, con un carrello con entrambi gli assi motori collegati fra loro e l'altro portante, e quello dell'automotrice bimotore L102, con due carrelli con un asse motore e un asse portante ciascuno[10].
Automotrici delle ultime generazioniFra il 1947 e il 1950 furono dunque studiate automotrici di forte capacità equipaggiate con un solo motore Diesel a cilindri orizzontali sistemato sotto il pavimento, che portarono alla stesura dei progetti delle ALn 990 da parte di FIAT Materfer e OM e delle ALn 880 da parte della Breda[15]. I risultati ottenuti con i prototipi bimotore L102 ed L103 poterono essere subito messi a frutto su altri tipi di veicoli che non rientravano nello schema monomotore allora definito dalle FS, cui i tecnici dell'ufficio studi della FIAT Materfer preferivano la soluzione bimotore con entrambi i carrelli a metà aderenza[16]. Nel 1954, dopo le esperienze delle grosse automotrici monomotore ALn 880 e ALn 990, vi fu invece un ripensamento da parte FS, che sulla base del successo delle littorine anteguerra (ALn 40, ALn 56, ALn 80, ecc.), ritennero opportuno tentare di riprendere la strada delle automotrici bimotore[17].
AutotreniLa costruzione di convogli a trazione termica a composizione bloccata, definiti "autotreni", rappresentò la naturale evoluzione dell'automotrice. Dopo i primi sfortunati esemplari forniti alle FS, la produzione FIAT consentì di sviluppare un treno di lusso per le ferrovie egiziane e, dall'esperienza maturata con le ALn 990, furono derivati tre convogli che segnarono l'inizio dell'ammodernamento delle reti ferroviarie spagnola e argentina[20]. L'ultima realizzazione fu rappresentata dal prototipo ad assetto variabile, rimasto senza seguito.
CarrozzeQuella delle carrozze ferroviarie complete fu per la FIAT una produzione minore ma comprese alcune unità particolarmente significative:
TramLa delibera di una proposta in tal senso avanzata da Giovanni Agnelli portò al primo impegno FIAT nei trasporti su rotaia, consistente nella costruzione di sei tram con motore FIAT e veicolo Diatto che furono messi in funzione nel recinto dell'esposizione di Milano 1906[30]. Tale attività caratterizzò da allora dapprima la Diatto e poi la Sezione Materiale Ferroviario fino all'immediato anteguerra. Dopo la seconda guerra mondiale essa subì una battuta d'arresto che durò fino a circa la metà degli anni settanta; rimase quindi privo di seguito il prototipo di carrello tranviario studiato durante la ricostruzione e realizzato nel 1950[31]. L'attività riprese nel 1983 con la costruzione delle sfortunate elettromotrici serie 7000 destinate alla "metropolitana leggera" di Torino[32], cui fecero seguito nel 1989 le forniture di vetture più tradizionali sempre per Torino (serie 5000)[33] e Roma, con le serie 9100 del 1996 e 9200 del 1998. Gli ultimi esemplari prodotti a marchio FIAT furono i "Cityway" consegnati a partire dal 2000 a Torino, immatricolati nella serie 6000, e presso la tranvia di Messina. Locomotive DieselQuella delle locomotive Diesel da treno fu una produzione che caratterizzò l'offerta FIAT per molti anni il mercato italiano, pur non mancando un'importante commessa estera. Ben presto, considerata la taglia di potenza di tali unità, la casa di Savigliano indirizzò i propri progetti alla trasmissione Diesel-elettrica, con centinaia di unità prodotte.
I carrelli FIATConcepiti per l'adozione sulle automotrici termiche, i carrelli FIAT ebbero uso sviluppo indipendente soprattutto nel secondo dopoguerra, arrivando ad equipaggiare migliaia di veicoli rimorchiati in tutta Europa e caratterizzando due generazioni di treni ad assetto variabile. Prima generazioneCon le nuove automotrici leggere concepite negli anni trenta ebbe origine anche il cosiddetto "carrello FIAT di prima generazione", con cui furono equipaggiate circa 700 automotrici e qualche elettromotrice fino alla vigilia della seconda guerra mondiale; questo concetto di carrello, sviluppato interamente dalla FIAT Materfer, si differenziava nettamente da quelli usati in precedenza per essere a un solo stadio di sospensione verticale e quasi privo di sospensione trasversale, caratteristiche che a prima vista potevano farlo sembrare una mera semplificazione delle realizzazioni correnti, mentre presentava invece parecchie innovazioni che verranno confermate a posteriori dalle conoscenze di dinamica ferroviaria rese possibili dallo sviluppo dell'informatica, mentre altre scelte forzatamente empiriche risulteranno poi criticabili alla luce delle stesse conoscenze[43]. Seconda generazioneI carrelli FIAT di seconda generazione videro un parziale ritorno allo schema ante-littorine con l'abbandono dell'attacco delle boccole al telaio, soluzione innovativa non ancora matura per la mancanza degli snodi cilindrici silentblock, e una forte attenzione per la risoluzione delle criticità del collegamento cassa-carrello messe in evidenza soprattutto dall'esercizio delle automotrici ALn 40 e dalle prove degli ATR.100 nella marcia a forte velocità (secondo i canoni di allora)[44]. La cura dei particolari per le sospensioni dei carrelli di seconda generazione emerge anche dai brevetti con cui furono coperti quelli adottati dalle AFS, come per esempio il brevetto n. 377453 del 18 dicembre 1939 relativo all'attacco mediante gomma di balestre e trave oscillante al telaio del carrello "allo scopo di eliminare ogni urto (e relativo rumore) fra elementi rigidi e di impedire che le vibrazioni venissero comunicate alla cassa del veicolo"[45]. Terza generazioneLa necessità di aumentare velocità e comfort spinse la FIAT Sezione Materiale Ferroviario a sviluppare negli anni sessanta una nuova generazione di carrelli ferroviari che costituì di fatto la terza evoluzione di tale componente dopo quelli realizzati per le automotrici termiche[46]. Tale sviluppo iniziò nel 1965 con le due automotrici sperimentali 7170, la prima delle quali fu immatricolata provvisoriamente nel parco FS come ALn 668.1999, utilizzata per un ciclo di prove che portarono alla cosiddetta sospensione "flexicoil integrale". Tale esperienza fu applicata su due importanti progetti FIAT: il Pendolino, per il quale il 22 dicembre 1967 fu depositato il brevetto di tale carrello, e le carrozze Trans Europ Express (TEE) delle FS[47]. Dopo ulteriori prove furono dunque realizzati i carrelli tipo F71 che contribuirono al successo delle carrozze TEE, inducendo le FS a ordinare altre 212 carrozze denominate Gran Conforto[48] rendendo i carrelli F71 i capostipiti di una lunga serie che equipaggiò veicoli italiani e stranieri a partire dal 1970[49]. Tra i carrelli derivati dal tipo F71 riveste particolare rilevanza per il successo internazionale il tipo FIAT Y0270, derivato direttamente dall'F71 inglobando alcuni particolari del carrello francese Y32, allora in corso di sviluppo, in uno studio in collaborazione con la Società Nazionale delle Ferrovie Francesi (SNCF), che fu scelto nel 1975 per equipaggiare le carrozze unificate europee per servizi internazionali UIC-Z, dette comunemente carrozze Eurofima, il cui primo esemplare fu consegnato nel 1997[49]. Parallelamente alla complessa vicenda delle carrozze Eurofima, il cui capitolato fu emesso nel 1970[50], i due carrelli sperimentali 7195CS usati per lo studio dell'F71 furono trasformati con la sospensione secondaria di tipo pneumatico (assumendo la denominazione 7219) e provati intensivamente tra il 1973 e il 1975 dando luogo a una numerosa serie di carrelli per veicoli con forti variazioni di carico, come le carrozze a due piani, le elettromotrici dei gruppi ALe 644, ALe 724, ALe 582, ALe 642 e le rimorchiate Le 724, Le 884, Le 763, Le 562, Le 764, Le 682, usate dalle FS per i servizi suburbani e a media distanza[49]. Dalla serie originata dal carrello F71 fu derivato nel 1979 il tipo FI, destinato alle carrozze FS per servizi a media distanza MDVC ed MDVE con velocità massima di 160 km/h, che fu alleggerito e dotato di ruote di diametro minore per consentire l'abbassamento del pavimento ed eliminare un gradino nei montatoi[49]. Rientrano nella famiglia dei derivati dagli F71 anche i carrelli per le carrozze degli ETR.500 entrate in servizio nel 1996, che ne rappresentarono lo sviluppo per le velocità oltre i 250 km/h[49]. Consolidato il progetto, i medesimi carrelli andarono a sostituire quelli di seconda generazione che equipaggiavano dall'origine le ALn 668, divenendo pio di uso generale negli anni settanta, equipaggiando anche tram e metropolitane[49]. Un altro sbocco dei carrelli prototipo tipo 7170 del 1965 e 7195 del 1968 fu il tipo 7199 sviluppato nel 1970 per la prima generazione di treni ad assetto variabile Pendolino e da esso fu sviluppato il tipo 460 che equipaggiò la seconda generazione di tali convogli in servizio sulle reti europee[49]. ElettrotreniUn altro importantissimo sbocco dei carrelli prototipo tipo 7170 del 1965 e 7195 del 1968 fu il tipo 7199 sviluppato nel 1970 per i treni ad assetto variabile "Pendolino", che equipaggiò l'elettromotrice sperimentale FIAT Y 0160 nel 1971, l'elettrotreno FS ETR.401 nel 1975, il suo omologo per le ferrovie spagnole nel 1977, gli elettrotreni FS ETR.450 nel 1987 e l'autotreno DB 610 nel 1990[49]. Dallo sviluppo di tale progetto fu in seguito sviluppata la nuova generazione di "Pendolino" a partire dall'elettrotreno FS ETR.460 del 1992, l'S 220 per le ferrovie finlandesi nel 1992, l'ETR.470 per la società Cisalpino nel 1993, l'ICE-T per le ferrovie tedesche nel 1994, l'ETR.480 per le FS nel 1995, il CD-TRAIN per le ferrovia ceche nel 1995, l'IC 2000 Alaris per le ferrovie spagnole nel 1996, il Pendoluso per le ferrovie portoghesi nel 1996[49], i 3 treni Pendolino (ETR 310) per le ferrovie slovene nel 1996 e la flotta di treni Pendolino per l'operatore inglese Virgin Train, impiegati sulla West Coast Main Line. StoriaLa società, denominata inizialmente FIAT Sezione Materiale Ferroviario e nota in seguito anche con le abbreviazioni FIAT Materfer o FIAT Materferro, nacque a Torino nel 1917 con l'acquisizione della società torinese Diatto, operativa nel settore ferrotranviario sin dalla metà del XIX secolo, di cui rappresentò la diretta continuazione[51]. L'esperienza DiattoCon l'incorporazione della Diatto, ratificata nell'assemblea straordinaria FIAT del 7 dicembre 1917, la casa automobilistica torinese, già pesantemente impegnata nella produzione di autocarri, aerei e motori per sostenere lo sforzo bellico della prima guerra mondiale, acquisì la capacità di operare anche nel settore dei trasporti su rotaia, attività che fu affidata alla neo costituita FIAT Sezione Materiale Ferroviario[52]. L'acquisizione della ditta dei fratelli Diatto fu proposta nel consiglio di amministrazione del 25 ottobre 1917 dal cavalier Giovanni Agnelli, che con le parole «… tali officine [Diatto] presentano un avvenire con la costruzione di materiale ferroviario, di cui vi sarà molto bisogno», dimostrò di avere le idee estremamente chiare sulla strada da percorrere e di essere pienamente conscio del fatto che, finito lo sforzo bellico, solo una parte delle nuove conformazioni industriali e finanziarie avrebbe avuto la possibilità di sopravvivere, mentre le altre sarebbero state condannate al ridimensionamento o alla scomparsa[52]. Varie circostanze fanno pensare che l'acquisizione della Diatto non fosse un fatto occasionale, ma il risultato della costante mira del futuro senatore Agnelli per l'ingresso della FIAT nella produzione di materiale ferroviario: ne è un fatto rivelatore l'intervento nel consiglio di amministrazione dell'8 agosto 1905, in cui Agnelli riferì di aver osservato all'esposizione di Liegi l'applicazione di un motore a benzina su vetture tipo Decauville e, ritenendo pratica un'analoga applicazione per i servizi pubblici, propose di stanziare 100.000 lire per finanziare una campagna di sperimentazione in collaborazione con la ditta dei fratelli Diatto, da effettuare richiedendo la concessione dell'esercizio di una linea tra Torino, Pino Torinese e Chieri e di un'altra nel parco dell'esposizione di Milano 1906. All'obiezione del presidente Scarfiotti, che sosteneva fosse preferibile ideare qualche soluzione meccanica speciale da sottoporre a brevetto piuttosto di associarsi con la Diatto, Agnelli replicò che la clientela speciale e la pratica della Diatto in tale genere di lavori, e in particolare nella carrozzeria, sarebbero state di grande aiuto alla FIAT, ottenendo l'approvazione da parte del consiglio[52]. Il primo decennio di attività della FIAT Sezione Materiale Ferroviario fu caratterizzato da due obiettivi principali, che consistevano rispettivamente nell'utilizzazione al meglio delle qualificate capacità parartigianali della Diatto e nell'introduzione nel prodotto di questa, e quindi nel mondo ferroviario, di tutti gli elementi dell'attività FIAT in sinergia con esso[52]. L'indicazione di quali furono i programmi iniziali della FIAT e di quanto essa ereditò dalla Diatto compare in un catalogo risalente ai primi anni venti del ventesimo secolo, in cui risulta che il capitale versato della Sezione Materiale Ferroviario ammontava a lire 200.000.000 e che riporta diverse illustrazioni relative alla produzione Diatto, tra cui in copertina una vettura letti con cassa in legno per la Compagnia Internazionale delle Carrozze con Letti e dei Grandi Espressi Europei, e l'indicazione del programma produttivo di "locomotori elettrici e carrozze automotrici" che, secondo il Santanera, «si riferisce evidentemente alle intenzioni di sviluppo miranti all'utilizzazione della capacità motoristica della Fiat»[52]. Il patrimonio tecnologico della Diatto comprendeva la costruzione di carri merci, carrozze di prima, seconda e terza classe e carrozze letto, sia per le ferrovie italiane che per la CIWL, secondo la tecnica comune agli altri costruttori di materiale rimorchiato del tempo, che prevedeva la realizzazione dei veicoli ferroviari con il telaio d'acciaio composto da elementi chiodati fra loro, generalmente irrigidito con la trave Fink, sul quale veniva impostata la carrozzeria costituita in buona parte in legno, sia per i carri merci che per le carrozze viaggiatori[53]. La Diatto, essendo essenzialmente una carrozzeria come gran parte dei suoi concorrenti italiani, non possedeva la tecnica dei carrelli ed era costretta a utilizzare modelli e disegni importati da costruttori tedeschi o francesi, fra cui il diffusissimo carrello tipo Brill, che fu prodotto in gran quantità prima dalla Diatto e poi dalla FIAT Sezione Materiale Ferroviario per equipaggiare i tram interurbani della Torino-Trofarello (elettrificata nel 1904), Torino-Gassino-Chivasso (elettrificata nel 1908) e la Torino-Rivoli (elettrificata nel 1914); un carrello monoassiale con una certa possibilità di disporsi radialmente in curva, utilizzato per i tram interurbani per Moncalieri e Chivasso; i carrelli tipo Wagon Lits e Commonwealth per le vetture ferroviarie, che sopravviveranno fino al secondo dopoguerra[53]. La produzione del carrello tipo Commonwealth in collaborazione con la FIAT Sezione Acciaierie che ne realizzò il telaio in acciaio fuso, contribuì in modo rilevante all'arricchimento delle conoscenze del servizio studi che ne previde l'uso anche per le automotrici e le locomotive Diesel in corso di progettazione, ma che in pratica venne adottato solo sulle carrozze e sui tram, alcuni dei quali rimasero in servizio fino alla fine del XX secolo[53]. Col patrimonio acquisito dalla Diatto integrato dalle proprie conoscenze nel campo motoristico e consapevole dei limiti che le motrici a vapore allora usate (locomotive con potenze specifiche dell'ordine di 10 CV per tonnellata che, con carrozze di circa 0,9 t di massa per passeggero seduto, scendevano a circa 5 CV per tonnellata di treno, offrendo oltretutto una bassissima confortevolezza di viaggio) manifestavano sia nel trasporto locale FS che nelle tranvie extraurbane, a partire dal 1923 la FIAT Sezione Materiale Ferroviario imboccò decisamente la strada della realizzazione di veicoli ferroviari basati sull'impiego del motore a combustione interna, convinta dei vantaggi che si sarebbero potuti ottenere da un propulsore che si stava via via perfezionando per il trasporto stradale[53]. Le ulteriori acquisizioni e la guerraNel 1938 le Officine Meccaniche (OM) di Milano confluirono in FIAT, affiancandosi con la loro cinquantennale esperienza ferroviaria alla FIAT Sezione Materiale Ferroviario[54]. Nel 1960 fu costituita la FIAT CONCORD S.A.I.C. Fábrica de Material Ferroviario di Ferreyra, Córdoba (Argentina), che comprendeva, tra l'alto, le fabbriche Grandi Motori, operativa nel 1955, e di materiale ferroviario, fondata nel 1958. La stessa entrò a far parte, con la FIAT Sezione Materiale Ferroviario, operante nello stabilimento di via Rivalta a Torino, e la FIAT Azienda OM, operante negli stabilimenti di Milano e Brescia, della FIAT Divisione Materiale Ferrotranviario con sede a Torino in corso Marconi 20 e ben presto risultò in grado di soddisfare le esigenze della vasta e complessa rete ferroviaria argentina[55]. La grande necessità di mezzi di trasporto dopo le distruzioni belliche costrinse le aziende del settore ferroviario a un impegno quasi forsennato per il riequipaggiamento del parco veicoli, a cui la FIAT Sezione Materiale Ferroviario contribuì nell'arco di circa cinque anni con la fornitura di 5850 carri merci di vario tipo, di 455 carrozze viaggiatori e con la riparazione di 130 automotrici variamente danneggiate durante la guerra[56]. Il lavoro di studio e sperimentazione svolto a partire dal 1940, e in parte anche durante la guerra, permise inoltre all'azienda di affrontare, in parallelo all'impegno di ricostruzione, un'intensa attività riguardante la progettazione di nuove automotrici, la ripresa degli studi di locomotive Diesel, la ricerca per l'ammodernamento dei tram e il ritorno a tipi di prodotto, come le carrozze letto, che erano rimasti esclusi da tempo dall'attività della Sezione Materiale Ferroviario[56]. Il secondo dopoguerraSfortunatamente non tutte queste attività preparatorie portarono all'acquisizione di commesse, infatti oltre che dalle necessità della ricostruzione, il dopoguerra fu caratterizzato da una forte indecisione del potere pubblico sul futuro del trasporto su rotaia (a cui l'estendersi della motorizzazione stradale e dell'aviazione civile aveva tolto il monopolio dei sistemi di trasporto) i cui effetti negativi durarono per alcuni decenni causando lo smantellamento di molte reti urbane e suburbane con l'arresto completo della costruzione di tram, anni di incertezze per le Ferrovie dello Stato sulla scelta dei servizi che sarebbe stato vantaggioso mantenere e sviluppare e un conseguente altalenare delle commesse che causò difficoltà non trascurabili alla FIAT Sezione Materiale Ferroviario, fortunatamente superate almeno in parte con il lavoro non ferroviario ricevuto dalle altre sezioni dell'azienda[56]. Nel 1973 il Gruppo FIAT acquisì dalla CEAT lo stabilimento ferroviario di Savigliano della Società Nazionale Officine di Savigliano (SNOS), storiche officine di Piazza Galateri fondate nel 1880, dove trasferì gli uffici amministrativi e dove iniziò a concentrare tutta la produzione ferroviaria FIAT del nord Italia; lo storico stabilimento Materfer di via Rivalta a Torino passò quindi alla produzione automobilistica di veicoli commerciali[2][57][58]. Contestualmente a questa ristrutturazione, che interessò tutto il Gruppo FIAT, nacque il settore FIAT Prodotti e Sistemi Ferroviari, a cui fecero capo:[59]
Nei primi mesi del 1988 la denominazione FIAT Ferroviaria Savigliano cambiò in Fiat Ferroviaria[60]. Nell'autunno del 1990 fu stabilito un accordo tra il Gruppo Fiat e la società francese Compagnie Générale d'Électricité (CGE), proprietaria dell'Alstom, costruttrice del TGV, per la cessione del controllo del pacchetto azionario della Fiat Ferroviaria[61]. L'accordo, che avrebbe dovuto diventare operativo nei primi mesi del 1991, non ebbe tuttavia seguito[61][62]. Nell'agosto del 1995 la Fiat Ferroviaria acquisì il 60% del pacchetto azionario della società svizzera operante nel settore ferroviario della Schweizerische Industrie Gesellshaft (SIG), specializzata nella costruzione di carrelli, passaggi intercomunicanti fra carrozze ferroviarie e di un particolare sistema di assetto variabile[63]. La cessioneIl 1º agosto 2000 Fiat Ferroviaria cedette la propria attività alla nuova società Fiat Industria Ferroviaria, costituita il 1º giugno dello stesso anno, con un'operazione che costituì la fase preparatoria alla cessione del 51% del pacchetto azionario all'Alstom in attesa del nulla osta da parte della Commissione Europea Antitrust[64]. L'accordo di cessione per la vendita del rimanente 49% nell'arco di due anni fu perfezionato il 18 ottobre 2000 a seguito dell'autorizzazione antitrust concessa il precedente 19 settembre[65]. Il restante 49% della quota azionaria fu acquisito ad aprile del 2002[66]. L'accordo comprese anche la controllata Elettromeccanica Parizzi (fondata nel 1955), con sede a Sesto San Giovanni, e Fiat-Sig (Svizzera), accorpate sotto il nome di Alstom Ferroviaria[67], con ciò sancendo il definitivo abbandono del settore ferroviario da parte di Fiat. ArchivioL’archivio dell’azienda è conservato presso il Centro storico Fiat[68] nel fondo Materfer (estremi cronologici: 1881 - 1974)[69]. Note
Bibliografia
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