Filosofia indianaNell'ambito della filosofia indiana sono comprese diverse tradizioni di pensiero originatesi nel subcontinente indiano, tra cui l'Induismo, il Buddhismo e il Giainismo. Il concetto di "filosofia indiana"In sanscrito non esiste un termine che, anche solo lontanamente, corrisponda a quelli di "filosofia" o di "filosofo", ma nel confrontarsi con la modernità occidentale nel corso del periodo coloniale, gli intellettuali indiani hanno utilizzato, come equivalente di filosofo, il ben poco usato termine sanscrito dārśanika, il cui significato (letteralmente: esperto di uno o più darśana) rimanda ai diversi sistemi di filosofia (letteralmente "visioni" [del mondo]) per come sono stati classificati dai dossografi sanscriti. Come equivalente del termine "filosofia", il trattato Artha Shastra utilizza l'espressione «ānvīkṣikī vidya», traducibile come «scienza dell'investigazione»,[1] considerata un atteggiamento che osserva e indaga sulle attività umane. I rapporti della filosofia indiana con la civiltà occidentale, iniziati nel periodo romantico tra il Settecento e l'Ottocento prevalentemente in Germania, Francia e Inghilterra, si sono intensificati a partire dal secondo dopoguerra negli Stati Uniti.[2] Tematiche«Il gran valore dell'intelletto indiano è l'essersi elevato alla coscienza dell'altezza del pensiero: alla separazione del soprasensibile dal sensibile, dell'universale dal moltiplice empirico, naturale ed umano: alla concentrazione dello spirito in se stesso, mediante la negazione di ogni esistenza finita e determinata. Questa potenza di astrazione e di negazione, questo puro concentrarsi in se stesso, questa soggettività assoluta, è come la forma universale dello spirito ariano.» La filosofia indiana spazia in tutte le tematiche tradizionali della speculazione filosofica in senso lato, dall'epistemologia all'estetica, dalla filosofia della natura alla logica, dall'etica all'ontologia, ma è pur vero che, almeno a livello teorico, ogni speculazione indiana viene fatta risalire dai medesimi pensatori indiani a fini eminentemente pratici, vale a dire all'instradamento dell'essere umano su un cammino che conduca ai fini dell'uomo, tra i quali il più alto è la liberazione dalla sofferenza della condizione umana stessa. Per questo motivo, la interpretatio vulgata rappresenta la filosofia indiana come una filosofia "pratica". Tuttavia, questo legame con la pratica in campi come la logica o l'estetica diviene un legame solo formale, e per così dire nominale. I pensatori indiani vedevano la filosofia come una necessità pratica che doveva essere coltivata per capire come la vita potesse essere vissuta al meglio. È diventato normale per gli scrittori indiani spiegare come il loro lavoro filosofico possa servire i fini umani (puruṣārtha). PeriodiLa filosofia indiana classica può essere suddivisa in quattro periodi:
ScuoleSeguendo la suddivisione, tarda, e non corrispondente alla fluidità della storia delle idee delle diverse tradizioni indiane, la filosofia dell'India viene suddivisa in scuole ortodosse e scuole eterodosse. Per convenzione didattica, manteniamo tale suddivisione che si rivelerebbe però inaffidabile ad uno studio più ravvicinato delle fonti originali. Scuole ortodosse
Scuole eterodosseSono le scuole che non accettano l'autorità dei Veda. Filosofia politicaL'Artha Shastra ("Trattato sull'utile"), di Kauţila, identificato con il ministro Maurya Chanakya, è uno dei primi testi indiani che si dedicano alla filosofia politica. È datato tra il IV e il III secolo a.C. ed è incentrato sull'arte del governo, la strategia militare e l'economia politica. Note
Bibliografia
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