«Creta, creta mia, materia mia artificiale, ma carica per metafora di tutto ciò che ho visto, amato, di ciò a cui sono stato vicino, delle cose che ho dentro, con cui, in fondo, mi sono, volta per volta, identificato.»
Terzo ed ultimo figlio del poeta dialettale,[2] chitarrista e professore di disegno Fernando Leonardi e di Giuseppina Magni, rimane orfano di padre all'età di tre anni. Di carattere ribelle e particolarmente indisciplinato, a quindici anni viene bocciato per la condotta all'Istituto tecnico; per reazione si isola e si trasferisce in soffitta, chiuso in un rancoroso silenzio. Qui comincia a scolpire blocchi di creta che il fratello Lionello (1904 - 1999) gli porta per confortare la sua solitudine. Non si limita a modellare, ma disegna e si appassiona alla storia dell'arte[3].
Nel 1939 si trasferisce a Umbertide dove sposa Maria Zampa, sua ex compagna di scuola, dalla quale avrà due figli Daniela e Leonetto. Entra in contatto con le Ceramiche Rometti, precedentemente dirette da Corrado Cagli, dove approfondisce il proprio bagaglio di cognizioni tecniche; negli stessi forni realizza sculture di grandi dimensioni: l'Arpia(immagine), la Sirena e l'Ermafrodito, nell'insieme denominate i Mostri. Organizza fra gli operai della Rometti la prima cellula comunista di Umbertide[4].
Le prime mostre
Nel 1940, su invito di Gio Ponti, condivide con Salvatore Fancello una sala alla VII Triennale di Milano nell'ambito della Mostra della ceramica[5], dove espone le prime ceramiche cotte nei forni umbri e vince la Medaglia d'oro per le arti applicate[6]. Le opere presentate: un ermafrodito fusolare, giallo, quattro busti rappresentativi delle quattro stagioni, tazze e accessori per servire il caffè e il tè.
Nel 1942 ritorna a Roma dove insegna plastica e decorazione all'Istituto statale d'arte fino al 1952; fra i colleghi ci sono Ettore Colla, Afro e Pericle Fazzini. L'anno successivo, in mostra collettiva con altri giovani artisti quali Toti Scialoja, Domenico Purificato, Giulio Turcato e Emilio Vedova, espone la serie dei Mostri presso la galleria La Cometa di Roma, ricevendo critiche lusinghiere.
La drammatica realtà della guerra lo spinge verso un più diretto impegno politico e sociale.
Convinto antifascista, combatte per le forze partigiane affiliato alla Brigata Garibaldi "Francesco Innamorati" di Foligno[7]. Stringe amicizie con giovani antifasciste attive in Umbria e a Roma, tra loro l'attrice Elsa De Giorgi[8].
In questo periodo l'irruzione dei linguaggi "europei" influenza il suo stile che oscilla fra postcubismo e Picasso.
Nel dopoguerra
Nel 1944 a Roma, liberata dalle truppe alleate, realizza la Madre romana uccisa dai tedeschi(immagine), che si aggiudica il primo premio ex aequo per la scultura alla mostra L'arte contro la barbarie[9]. La mostra, sotto gli auspici de l'Unità, vuole denunciare le atrocità del fascismo e del nazismo. Leoncillo entra a far parte dell'organizzazione militare clandestina del Partito Comunista Italiano e nel settembre del 1944 tiene un comizio a San Lorenzo[10].
Nell'immediato dopoguerra partecipa a numerose mostre collettive dove presenta sia sculture sia oggetti d'arte applicata, realizzati nel tentativo di rivitalizzare la tradizione artigianale italiana. A Roma nel 1945 espone Elementi per balaustra.
«Cito per tutti la balaustra di Leoncillo che è veramente un capolavoro. Più bello, secondo me, di un Della Robbia perché meno aulico, più bello e originale di un pezzo popolaresco perché più organizzato secondo un criterio di stile e di costruzione»
Nel 1946 a Venezia firma con altri 10 artisti il manifesto della Nuova Secessione Artistica Italiana; l'anno seguente, nell'ambito della VIII Triennale di Milano, partecipa alla prima mostra del gruppo che nel frattempo ha cambiato nome in Fronte nuovo delle arti. Espone con Antonio Corpora, Nino Franchina, Pericle Fazzini e Giulio Turcato; presenta le opere Natura morta colla bottiglia, Natura morta col domino(immagine), Il tavolino da lavoro. Viene presentato in catalogo da Alberto Moravia che scrive:
«[...] La scultura è l’arte per eccellenza dell’uomo; lo scultore, uomo, crea un altro uomo di cui si può fare il giro, che è fatto a stretta somiglianza dell’uomo. Ma Leoncillo ha prestissimo superato le prime posizioni naturalistiche, obbligatorie per ogni artista serio, poiché l’artista è, prima di tutto, un imitatore della natura.
[...] Ma oggi Leoncillo, sempre più scavando nel fondo della sua ispirazione, pare tendere ad un raccoglimento e ad una semplificazione che lui, nei suoi discorsi sull’arte, chiama astrazione. Sono le cose sue migliori, comunque; [...][12]»
Nel 1948, insieme a giovani artisti comunisti come Marino Mazzacurati, Renato Guttuso ed Emilio Greco, stabilisce a Villa Massimo a Roma il proprio studio, nel cui centro campeggia il forno, una sorta di sedia elettrica in mattoni, dallo sportellone blindato. Vi lavorerà fino al 1956[13].
Nel 1949, presentato da Roberto Longhi, tiene la sua prima mostra personale alla galleria Fiore di Firenze.
Per celebrare la partecipazione delle donne venete alla lotta di liberazione, nel 1955 esegue per il comune di Venezia il Monumento alla partigiana veneta, in ceramica policroma. Ne realizza due copie: la prima, ornata da una sciarpa rossa intorno al collo, viene contestata dal comune e rimandata indietro con l'obiezione che il colore rosso rimanda prevalentemente a partigiani comunisti. Realizza allora un altro monumento con sciarpa di diverso colore. La scultura, posizionata ai giardini napoleonici nel Sestiere di Castello su basamento di Carlo Scarpa, sarà distrutta nella notte tra il 27 e il 28 luglio del 1961 da un attentatoneofascista. La prima versione, quella con la sciarpa rossa, nel 1955 partecipa alla VII Quadriennale Nazionale d'Arte di Roma; nel 1964 viene acquistata dal comune di Venezia e conservata alla Galleria internazionale d'arte moderna Ca' Pesaro[15]. (immagine)
Un'altra celebrazione tutt'altro che retorica della resistenza è il monumento Ai caduti di tutte le guerre, commissionato dal comune di Albissola Marina nel 1955 e posizionato sul lungomare della cittadina nel 1958. (immagine bozzetto), (foto)
Nel 1956 in seguito a una profonda crisi ideologica, contrario alla linea filosovietica togliattiana, si dimette dal Partito comunista[16] e inizia una severa revisione del suo lavoro dell'ultimo decennio; abbandona il cubismo per volgersi ad esperienze informali, inventando una "via italiana" all'informale: colate di ceramica nei colori primari (bianco, nero, rosso) caratterizzano le sue sculture, dando luogo a figurazioni percorse da tagli netti o solchi. La natura allude ad alberi folgorati, a sconvolgimenti tettonici, ma natura è anche figura umana, quindi corpi martoriati, crocifissi, mutilati.
Nel 1957 espone alla Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis; la nuova produzione è decisamente orientata in senso informale. Nell'autopresentazione in catalogo esprime le ragioni profonde dalla sua adesione all'informale e al neorealismo:
«[...] Ma è solo dopo aver visto qualche cosa, magari tanti anni fa, che sento il bisogno di parlare: la pelle lucida e umida di un albero giovane dove poi ci sono tutti buchi scuri, o il nero che sta dietro la casa e che viene invece davanti dopo aver girato dappertutto, o una figura che la luce gli distrugge tutto il volto ed ha delle ombre sottili che gli scorrono addosso come rigagnoli. Tutte queste cose le capisco bene. E quando ho visto questo, l’immagine viene dentro e prende la faccia di tutti quei sentimenti esaltati che ci agitano sempre, e prendono il senso della gioia esultante che vorremmo, o della nostra tenerezza ferita o dello scuro e fermo riposo ove vorremmo avere pace. E ora si tratta di trovare una forma uguale a questa immagine, una forma, un colore, una materia»
Rimane sempre legato a Spoleto; nel 1961, insieme al fratello Lionello e all'amico pittore Ugo Rambaldi, contribuisce alla fondazione dell'Istituto statale d'arte fortemente voluto dal sindaco Giovanni Toscano. Attualmente l'istituto è a lui intitolato[18].
Seguono mostre nazionali e internazionali a Roma, New York, Napoli, Montréal.
Nel 1968 è presente con una sala personale alla XXXIV Biennale di Venezia in cui allestisce opere dell'ultimo decennio; copre le sue sculture con dei teli di plastica in segno di adesione alle proteste dei giovani artisti.
Muore prematuramente a soli 53 anni colpito da infarto a bordo della sua auto.
A Spoleto, un anno dopo la morte, gli viene dedicata un'esposizione monumentale con gran parte dei suoi lavori[19].
^Leoncillo, Piccolo diario (dal 1957 al 1964), in Giovanni Carandente, Leoncillo Mostra antologica, Chiostro di S. Nicolò, Spoleto, Ed. Alfa, Bologna 1969
^Elsa De Giorgi, I coetanei, Einaudi, Torino 1955, p. 212
^Lombardo Radice, Donna assassinata a viale Giulio Cesare. Due ceramiche di Leoncillo, in Noi donne, a. I, n. 3, Roma 1944
^Toti Scialoja, I pittori difendono la città, in Mercurio n. 4, dicembre 1944
^Antonello Trombadori, Varietà. I mostra di artisti-artigiani, in L'Unità, Roma, 6 aprile 1946
^Alberto Moravia, presentazione in catalogo della Prima Mostra del Fronte Nuovo delle Arti, Milano 1947
^Giuseppe Appella, Leoncillo vita, opere e fortuna critica
^Francesco Arcangeli, Marco Valsecchi, Giovanni Urbani, Antonello Trombadori, X Premio Spoleto: Ferrari, Pisani, Uncini, Vespignani. 9 - 31 dicembre 1962
^Sileno Salvagnini, Le due versioni del monumento alla partigiana veneta di Leoncillo: problemi storici e questione iconografiche, in Maria Teresa Sega, La partigiana veneta: arte e memoria della Resistenza, Nuova Dimensione Edizioni, 2004, p. 63
^Marco Guidi, La Provincia, Sei intellettuali comunisti si sono dimessi dal PCI, Cremona, 2 gennaio 1957
^Leoncillo: Galleria la Tartaruga, Galleria la Tartaruga, 1957
Leoncillo, Piccolo diario (dal 1957 al 1964), in Giovanni Carandente, Leoncillo Mostra antologica, Chiostro di S. Nicolò, Spoleto, Ed. Alfa, Bologna 1969
Giovanni Carandente, Leoncillo, Mostra antologica, Chiostro di S. Nicolò, Spoleto, Ed. Alfa, Bologna 1969
Bruno Mantura, Leoncillo (1915 - 1968), Catalogo, De Luca editore, Roma 1979
Luigi Lambertini (a cura di), Spoleto anni '50: Leoncillo, De Gregorio, Marignoli, Raspi, galleria L'Attico Esse Arte, Roma 1982
Claudio Spadoni, Cesare Brandi, Leoncillo, catalogo generale, editore L'Attico Esse Arte, Roma 1983
Leoncillo. La partigiana veneta: catalogo della Mostra, Spoleto, Rocca Albornoziana, 5 luglio-15 luglio 1985, Multigrafica Roma, 1985
Giorgio Cortenova (a cura di), Leoncillo. La metafora della materia, catalogo della mostra, Verona 1985
Lionello Leonardi, Gli esordi di Leoncillo, in Giorgio Cortenova, Enrico Mascelloni (a cura di), Cagli e Leoncillo alle ceramiche Rometti, catalogo della mostra, Rocca di Umbertide, Mazzotta, Milano 1986 ISBN 88-202-0713-3
Maurizio Calvesi, 4 SCULTORI: Leoncillo, Pascali, Nagasawa, Nunzio, associazione culturale L'Attico di Fabio Sargentini, Roma 1987
Enrico Mascelloni (a cura di), Leoncillo: mostra antologica a cura di Lucia Stefanelli Torossi, Galleria Arco farnese Roma, De Luca edizioni d'arte, Roma 1990 ISBN 88-7813-274-8
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Leoncillo. Piccolo diario 1957-1964, a cura di Marco Tonelli, Skira, Milano, 2018; edizione realizzata in occasione della mostra Leoncillo, materia radicale. Opere 1958-1968, Galleria dello Scudo, Verona, 15 dicembre 2018 - 31 marzo 2019. ISBN 978-88-572-4034-3