Matrimonio all'italianaMatrimonio all'italiana è un film del 1964 diretto da Vittorio De Sica il cui soggetto è la commedia teatrale Filumena Marturano di Eduardo De Filippo. Il film è dedicato[1] alla memoria di Titina De Filippo, prima interprete teatrale e cinematografica[2] del personaggio principale, morta l'anno precedente la realizzazione. TramaDomenico Soriano, ricco pasticciere e impenitente donnaiolo, è legato all'ex prostituta Filumena Marturano da una relazione più che ventennale.[3] Soriano l'aveva conosciuta al tempo della seconda guerra mondiale durante un bombardamento: dopo averla non immediatamente tolta dalla casa d'appuntamenti in cui lavorava, dapprima l'aveva sistemata in un appartamento di sua proprietà e poi l'aveva accolta in casa propria come badante della sua anziana madre, risoluto a tenerla con sé soltanto come amante ma illudendola di poter aspirare a qualcosa di più. La donna non ha altre relazioni, da parte sua invece Soriano è incostante, dedito ad altre esperienze e spesso distante per lunghi periodi, tuttavia la mantiene e sorveglia sul suo benessere e ritorna sempre da lei: ciononostante, per Domenico, Filomena rimane una prostituta, una donna con cui intrattenere una relazione in sordina, e nulla di più. Filumena dal canto suo soffre per le continue umiliazioni inflittele da "don Mimì" (con tale nome era conosciuto nel postribolo e continuano a chiamarlo al presente anche in casa Filumena e il personale di servizio). Pur vedendo esaudita ogni sua richiesta in termini di denaro e di comodità, sente dentro di sé che le mancano stima e rispetto da parte dell'uomo. Dopo la morte della madre di Domenico, Filumena vorrebbe sistemarsi con lui sposandolo, egli tuttavia si nega, essendo intenzionato a mantenere le proprie libertà. Appresa la notizia dell'imminente matrimonio di lui con una giovanissima cassiera della sua pasticceria, Filumena finge di sentirsi male e chiede l'intervento di un prete per l'estrema unzione. A lui Filumena comunicherà il suo ultimo desiderio, vale a dire quello di sposare Domenico sebbene sia ormai in punto di morte.[4] Il sacerdote, conoscendo la loro storia e il rapporto che li legava da anni, convincerà Soriano a fare quest'opera di bene. Terminata la celebrazione del rito e congedato il parroco, Filumena però sembra rianimarsi e riacquistare le forze, alzandosi dal letto e lasciando i presenti sconcertati. Tuttavia, per quanto realmente stanca di essere trattata con disprezzo o sufficienza da Domenico e volesse esserne legittima moglie, Filumena non è mossa da arrivismo né ha montato una tale sceneggiata per legare egoisticamente l'uomo a sé: lo ha fatto bensì per garantire un avvenire e un cognome (Soriano, appunto) ai suoi tre figli, ormai cresciuti, che ella aveva avuto quando era una prostituta. Della loro esistenza aveva sempre accortamente tenuto all'oscuro Domenico, mantenendoli e pagando loro gli studi con il denaro che questi le garantiva per il suo mantenimento. Adesso Filumena vorrebbe quei figli con sé e Domenico e che tutti insieme formino una famiglia. Di fronte a queste rivelazioni di Filumena, Soriano invece si affretta a convocare il suo avvocato per ottenere l'annullamento delle nozze in ragione della frode con la quale ella aveva raggiunto il suo scopo. Filumena, amareggiata e delusa, acconsente al volere di Domenico. Nel frattempo la donna, come si era promessa di fare, si rivela ai suoi figli, presentandosi quale loro madre, senza nascondere nulla di sé e del suo passato. I figli, dopo un'iniziale titubanza, o con scandalo o ritrosia, la accettano. Filumena, senza ribattere, firma davanti a Domenico i documenti di annullamento del matrimonio, rivelandogli anche, tuttavia, che uno dei tre giovani è figlio suo, ma senza precisare di quale si tratti, malgrado sia in grado di provargli in che modo ne abbia la certezza: prova di cui Soriano stesso, pur non riuscendo a venirne in possesso, ammette l'inconfutabilità. Per lei, infatti, obiettivo primario è salvaguardare il bene dei suoi figli. Alla richiesta dell'uomo di sapere chi sia il proprio, ella oppone un fermo silenzio, per amore degli altri due, i quali altrimenti sarebbero da lui discriminati. Domenico comincia ad arrovellarsi all'idea di avere un erede e a riflettere sulla sua vita passata e presente e sul suo rapporto con Filumena. Così alla fine, dopo una sequela di inutili minacce e tentativi di desumere chi sia, fra i tre, suo figlio, comprende i valori familiari fondamentali e, ravvedendosi, sposa finalmente la donna che in realtà l'aveva accompagnato per tutta la vita, accettandone tutti e tre i figli come suoi. DistribuzioneIl film uscì nelle sale italiane il 18 dicembre 1964. Venne, in seguito, distribuito nei seguenti Stati:[5]
Nel 2007 il film è stato restaurato, con il contributo di Sky Cinema.[6] AccoglienzaCriticaPiù voci della critica (da Laura e Morando Morandini a Francesco Mininni[7] e Rangoni Machiavelli[8]) si sono espresse su precisi punti nodali del film. I critici hanno notato come la concentrata drammaticità del testo originale eduardiano sia stata sfumata dalla regia di De Sica in più leggeri toni da commedia,[8] che avvicinano l'adattamento cinematografico a film quali Irma la dolce di Billy Wilder o Ieri, oggi, domani[8] (entrambi del 1963 e quest'ultimo dello stesso De Sica: un'opera che ha dalla sua la medesima fortunata alchimia[8] tra i due interpreti principali); addirittura, invece, per altri la modifica del titolo in una parodia del Divorzio all'italiana (1962) di Pietro Germi finirebbe per condurre ad una deriva nel grottesco[9] un film che comunque aveva smarrito il tono originario per incentrarsi maggiormente sul registro del dramma lacrimevole fino ad insistere sui caratteri della pateticità e del sentimentalismo partenopei: così facendo per di più verrebbe trascinato a "scadere" in "stilemi ottocenteschi", toni "bozzettistici" e "folclorici".[7] Viceversa, Gian Luigi Rondi[10] proprio nelle caratteristiche del sentimento e dell'emotività appassionatamente esaltate nel film rintraccia il clou della produzione drammatica ottocentesca nella sua tensione a ribadire l'essenziale imprescindibilità, di fatto incontrovertibile, di sentimenti e valori radicali: la maternità e la paternità. Più pagine critiche evidenziano il valore di una risorsa cui nel film viene data forte rilevanza, il flashback,[11] inteso come consapevole scelta "del cinema e dei suoi meccanismi" rispetto alla mera drammaturgia[9] o anche come metodo per ravvivare il tono da commedia[8] o risolvere la quantità di elementi esterni, ma non di meno quale elemento di complicazione ed oscurità nella narrazione.[12] In particolare con grande attenzione si soffermano[11] sulla valente prova di interpretazione non solo di Mastroianni ma di Sophia Loren, come anche della direzione di attori: se non è agevole trasformare una Loren all'acme dell'avvenenza, "spettacolare e trentenne, nella consumata e drammatica Filumena", per di più si riesce a far in modo che la sua presenza scenica filtri e depuri quasi lo squallore degli ambienti e della situazione e il senso di disfacimento di una città e di un mondo che da esso promana, riscattandoli. Riconoscimenti
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