Munasterio 'e Santa Chiara
Munasterio 'e Santa Chiara è una canzone napoletana, scritta dal paroliere Michele Galdieri e dal musicista Alberto Barberis, la prima e la più famosa tra quelle del dopoguerra.[2] StoriaConsiderata una pietra miliare del nuovo corso del canto partenopeo del dopoguerra, fu lanciata nel 1945 da Giacomo Rondinella nella rivista teatrale Imputati, alziamoci! di Michele Galdieri,[3] fu poi presentata nello stesso anno dalle edizioni musicali La Canzonetta alla Festa di Piedigrotta interpretata da Luciano Tajoli con l'aggiunta della seconda strofa.[4] Riscosse subito un notevole successo al punto da essere re-incisa negli anni successivi da interpreti molto noti come Ebe De Paulis (prima edizione radiofonica e prima interprete femminile) e Carlo Buti nel 1946,[5] Roberto Murolo nel 1948 e lo stesso Rondinella nel 1949.[6] Nel decennio successivo fu ripresa da Claudio Villa, che nel 1951 la inserì nel 78 giri Luna algerina/Munasterio 'e Santa Chiara (Vis Radio, Vi-4332) e nel 1957 nell'album omonimo (Vis Radio, VIMT 24005). Nel 1966 Mario Trevi la incluse nel 45 giri Munasterio 'e Santa Chiara/Scalinatella e lo stesso anno nel 33 giri Canzoni napoletane moderne (Durium, mspr A 300/016), mentre Peppino di Capri la riprese nel 1969 includendola nel disco Munasterio 'e Santa Chiara/Malafemmena (Carisch, VCA 2620); il cantante caprese la reinciderà con un arrangiamento diverso nel 1972 nel 45 giri Magari/Munasterio è santa chiara (Splash, SPH 1013). Mina ha inserito la sua interpretazione negli album Le più belle canzoni italiane interpretate da Mina e I discorsi entrambi del 1969, oltre che nella raccolta Mina per voi del 1970. Successivamente il brano è stato inciso da Iva Zanicchi nel 45 giri Munasterio 'e Santa Chiara/'O destino del 1977. Musica e testoNei versi un emigrante dà voce al suo desiderio di tornare a Napoli contrastato dal timore di trovare una città distrutta dalla guerra. La melodia di Barberis è modernamente ampia e ariosa nonostante le tante concessioni liriche, e riesce a trasmettere una grande drammaticità senza cadere nell'effettismo.[2] Note
Bibliografia
Collegamenti esterni
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