Patriarcato (sociologia)In sociologia, il patriarcato è un sistema sociale in cui gli uomini (particolarmente quelli anziani) detengono in via esclusiva il potere nella società, tanto nella sfera domestica, quanto in quella pubblica, in termini dunque di leadership politica, autorità morale, privilegio sociale e controllo della proprietà privata[1]. In ambito familiare, il padre o la figura paterna esercita la propria autorità sulla donna e i figli. Tale modello sociale ha inoltre carattere patrilineare, il che significa che i beni familiari e il titolo vengono ereditati dalla prole maschile[2]. Storicamente, il patriarcato si è manifestato nell'organizzazione sociale, legislativa, politica, religiosa ed economica di una serie di culture tra loro differenti.[3] Il patriarcato viene talvolta contrapposto alla nozione di matriarcato. Etimologia e utilizzo del termineIl termine patriarcato vuol dire letteralmente "la legge del padre"[4][5] e viene dal greco πατριάρχης (patriarkhēs), "padre di una razza" o "capo di una razza, patriarca",[6][7] che è composto da πατριά (patria), "stirpe, discendenza"[8] (da πατήρ patēr, "padre") e ἄρχω (arkhō), "comando".[9] Storicamente, il termine patriarcato è stato usato per riferirsi al dominio autocratico da parte del capo di una famiglia; tuttavia, in tempi moderni, si riferisce più generalmente alla teoria femminista riguardante un sistema sociale in cui il potere è prevalentemente detenuto da uomini adulti.[10][11][12] Origini e sviluppo storicoSecondo gli antropologi e gli archeologi, l'organizzazione sociale patriarcale è collegata alla richiesta dell'uomo di avere il controllo sulla propria discendenza. Il linguista francese André Martinet riassume la questione in questi termini[13]: «"L'instaurazione del patriarcato risulta dalla decisione del partner della donna di assumere per intero la responsabilità dei bambini che lei ha messo al mondo. Egli si considera dunque non solo il protettore e l'educatore di questi bambini, ma anche il loro genitore. La sola sicurezza che egli può avere a riguardo risulterà dalla clausura della donna in un gineceo, o in un harem, che implica, come è noto, l'esistenza di più di un partner femminile. Quando questa clausura si rivela difficoltosa, o economicamente poco conveniente, all'uomo non resterà che sopprimere il bambino dall'incerta paternità, esponendolo all'appetito degli animali da preda. La mitologia greca ci offre numerosi esempi di bambini, che, come Edipo, sono abbandonati dai padri in balia della natura. "» Un'organizzazione sociale differente da quella patriarcale classica è offerta dalle società cosiddette avunculate, dove cioè la figura maschile che educa il bambino non è tanto il padre biologico, quanto lo zio materno, cioè il fratello della madre. Presso i Naxi in Cina, fino a pochi anni fa i bambini crescevano senza conoscere il loro padre biologico e venivano allevati dallo zio materno[14]. L'istituto dell'avunculato sopravvive anche in società patriarcali, come l'antica Grecia[15]. In EuropaLa preistoriaSecondo gli antropologi, il Neolitico è stato il momento in cui gli umani hanno smesso di procacciarsi da vivere solo raccogliendo frutta e cacciando animali, e hanno iniziato a coltivare piante. Si presume che questo passaggio culturale sia il momento in cui gli umani si sono resi conto che esisteva un collegamento fra il rapporto sessuale e la capacità della donna di generare figli. Il Neolitico è anche l'epoca in cui si afferma un'organizzazione sociale patriarcale. In effetti, gli antropologi collegano il patriarcato alla richiesta dell'uomo di avere il controllo sulla propria discendenza. Prove antropologiche suggeriscono che la maggior parte delle società preistoriche nomadi fossero relativamente egalitarie, e che strutture sociali patriarcali non si siano sviluppate fino a molti anni dopo la fine del Pleistocene, in seguito a avanzamenti sociali e tecnologici come l'agricoltura e l'addomesticazione di animali.[16][17] Secondo Robert M. Strozier, la ricerca storica non ha ancora trovato uno specifico "evento iniziale".[18] Alcuni studiosi collocano l'inizio della diffusione del patriarcato a circa seimila anni fa (4000 a.C.), quando si affermò il concetto di paternità.[19][20] Secondo alcune teorie marxiste sviluppate in maniera differente da Friedrich Engels e Karl Marx, il patriarcato è nato a causa di una primitiva divisione del lavoro in cui le donne si prendevano cura della casa e gli uomini dell'approvvigionamento di cibo attraverso l'agricoltura; conseguentemente allo sviluppo del capitalismo il regno della produzione è stato monetizzato e stimato maggiormente rispetto al regno della casa, che non è mai stato monetizzato, e la percezione e il potere degli uomini sarebbero cambiati di conseguenza.[21] Il dominio maschile sulle donne è stato attestato nell'antico Vicino Oriente fin dal 3100 a.C., così come le restrizioni sulla loro capacità riproduttiva e l'esclusione dal "processo di rappresentanza o dalla costruzione della storia".[18] Nell'XIX secolo l'antropologia evoluzionistica, soprattutto con l'antropologo Lewis H. Morgan, discusse a lungo se il patriarcato rappresentasse uno stadio di sviluppo delle società successivo al matriarcato. Questa ipotesi è stata contestata da più autori per la scarsità di esempi concreti e resti materiali che possano in qualche modo accertare l'esistenza di una sorta di "matriarcato primitivo". Il ricercatore francese Julien d'Huy (Laboratorio di antropologia sociale del Collège de France) ha mostrato che la distribuzione di miti primitivi patriarcali in Africa è in correlazione con la diffusione di un certo gene. Sarebbe dunque possibile seguire questo gene nelle varie migrazioni umane[22]. Secondo la studiosa lituana Marija Gimbutas, il Neolitico è il periodo storico in cui in Europa si diffuse un'organizzazione sociale patriarcale: l'elemento che ha introdotto il patriarcato in Europa è stato l'arrivo dal Caucaso, in tre ondate successive, dei popoli indoeuropei. Marija Gimbutas ha vagliato le testimonianze delle culture materiali dell'Est europeo, identificando gli indoeuropei con una cultura guerriera dell'età del rame (epoca: circa 4000 - 2000 a.C.): la cultura kurgan, così denominata a partire dalle grandi sepolture a tumulo (i kurgan appunto) che la caratterizzano, tombe nelle quali venivano seppelliti i principi locali insieme alle loro mogli e concubine, agli schiavi e a tutto il séguito[25][26]. L'ipotesi che i Protoindoeuropei venissero dal Caucaso è basata su ricostruzioni linguistiche e archeologiche, ed è stata definitivamente provata dalla paleogenetica[27]. André Martinet riprendendo gli studi di Gimbutas descrive la società protoindoeuropea come patriarcale e altamente gerarchizzata. Le tombe in particolare mostrano l'usanza di sacrificare le mogli dell'uomo, uso che non ha corrispettivo nell'Europa pre-indoeuropea[13]: «"Cinquemila anni prima della nostra era, il popolo di lingua indoeuropea si trovava a sud-est della Russia d'oggi, nella regione detta dei kurgani. I kurgani sono dei tumuli dove si trovano i resti di un individuo che si suppone fosse un capo, attorniato da tesori, spesso sontuosi, e da scheletri di un certo numero di fanciulle e di servi. [...] Abbiamo qui a che fare con una società patriarcale altamente gerarchizzata, la stessa cui ci aveva preparato la ricostruzione semantica. Sepolture dello stesso tipo si trovano in tutta Europa, fino all'odierna Germania centrale. Man mano però che ci si sposta verso ovest, le datazioni diventano più recenti, si trovano minori ricchezze e diminuiscono gli individui sacrificati. Ciò implica evidentemente un'ondata conquistatrice in direzione dell'occidente, attraverso regioni dove sepolture ancor più antiche testimoniano, di norma, concezioni più ugualitarie, almeno nella morte, se non nella vita, dato che ciascuno ha la sua tomba, e muore solo."» Secondo Gimbutas, le culture pre-indoeuropee del Neolitico non sembrano avere attraversato i forti conflitti che caratterizzavano invece i popoli protoindoeuropei[28]: «“L’assenza di armi da guerra e di colline fortificate per più di due millenni, dal 6500 fino al 4500 P.E.C., permette di dedurre l’assenza di aggressioni territoriali» Dagli studi di Gimbutas emerge un quadro lineare della comparsa degli indoeuropei sulla scena della Storia: migrando dalle loro regioni d'origine (Urheimat collocata tra il Volga e il Dnepr), le popolazioni indoeuropee si sarebbero sovrapposte alle popolazioni neolitiche preindoeuropee, come élite guerriere tecnicamente più avanzate, imponendo alle popolazioni sottomesse la loro lingua, la loro struttura sociale e la loro religione.[26] Studi più recenti ipotizzano che una prima suddivisione dei ruoli per genere fosse già iniziata all'epoca delle migrazioni dei Protoindoeuropei e che si fosse accompagnata alla diffusione dell'agricoltura durante le prime fasi del Neolitico[29] L'antica GreciaUn importante generale greco, Menone, nel dialogo platonico che porta lo stesso nome, riassume il sentimento prevalente nell'Antica Grecia riguardo alle rispettive virtù di uomini e donne: «Prima di tutto, se prendi la virtù di un uomo, è facilmente stabilito che la virtù di un uomo è questa - che egli è competente nel gestire le questioni della sua città, e gestirle in modo tale da fare beneficio ai suoi amici e danneggiare i suoi nemici, e curarsi di evitare di danneggiare se stesso. Ora prendi la virtù di una donna: non vi è difficoltà nel descriverla come il dovere di gestire bene la casa, prendersi cura dell'interno della proprietà, e obbedire a suo marito.» I lavori di Aristotele dipingono le donne come moralmente, intellettualmente e fisicamente inferiori agli uomini; sostengono che il ruolo delle donne nella società coincide con la riproduzione e nel servire gli uomini in casa; e vede il dominio maschile sulle donne come naturale e virtuoso.[31][32][33] Ne La Creazione del Patriarcato di Gerda Lerner, l'autrice sostiene che Aristotele credeva che le donne avessero sangue più freddo rispetto agli uomini, il che avrebbe fatto sì che esse non si siano evolute in uomini, il sesso che Aristotele riteneva essere perfetto e superiore. La storica Maryanne Cline Horowitz sostiene che Aristotele credeva che "l'anima contribuisce alla forma e al modello di creazione". Ciò implica che qualsiasi imperfezione che è causata nel mondo deve essere causata da una donna poiché non è possibile acquisire una imperfezione dalla perfezione (che egli percepiva come maschile). Le teorie di Aristotele sostengono di fatto una struttura gerarchica di comando. Lerner sostiene che attraverso questo sistema di valori patriarcali, passati di generazione in generazione, le persone siano state condizionate a credere che gli uomini sono superiori alle donne. Questi simboli sono parametri di condizionamento che i bambini imparano crescendo, e il ciclo del patriarcato continua ben oltre l'Antica Grecia.[34] Tra epoca romana e medievaleNell'età tardo-antica, il rafforzamento del patriarcato arrivò in seguito al regno di Giustiniano I ed all'avvento del diritto bizantino, che cambiò progressivamente le basi dell'unità familiare e le sue funzioni all'interno della società. Tra i provvedimenti più vistosi l'obbligo di fedeltà a carico solo della moglie, e la reintroduzione del dovere di assoluta obbedienza da parte della donna e la sua sottomissione al marito. Col patriarcato si consolida anche la patrimonializzazione dell'eredità, con la trasmissione per linea fissa e maschile dei beni, segnando la fine della linea di discendenza femminile. Si danno così le basi per la genesi del principio di proprietà privata individuale, che comporta il completo jus utendi et abutendi. Il patriarcato dai possedimenti romano-bizantini arrivò successivamente nella società germanica che non conosceva l'istituto della proprietà privata, ma nemmeno alcun istituto familiare e la schiavitù. Con la sedentarizzazione nasce l'esigenza di una famiglia come struttura autonoma, e successivamente la comune rurale. Tra le strutture giuridiche di base che reggono questi istituti, vi sono la vendetta, l'affratellamento, il prezzo della sposa, l'assenza di testamento ed infine il patriarcato come base dell'autorità. Nell'Europa medievale il patriarcato non era assoluto, in quanto imperatrici (come Teodora) e matriarche godevano di privilegi, influenza politica e status sociale.[35] L'età modernaA partire da Lutero, il Protestantesimo ha regolarmente usato il comandamento contenuto nell'Esodo 20:12 per giustificare i doveri dovuti a tutti i superiori. Anche se molti teorici del XVI e XVII secolo concordavano con la visione di Aristotele riguardo al posto delle donne nella società, nessuno di essi cercò di provare un obbligo politico sulla base della famiglia patriarcale fino a poco dopo il 1680. La teoria politica patriarcale è strettamente associata a Robert Filmer. Nel 1653, Filmer completò un'opera intitolata Patriarcha. Tuttavia, non fu pubblicata fino a dopo la sua morte. In essa, egli difendeva il diritto divino dei re a possedere il titolo ereditato da Adamo, il primo uomo della specie umana secondo la tradizione giudeo-cristiana.[36] Nel resto del mondoIl significato socialeTradizionalmente, il patriarcato ha dato al padre di famiglia completo possesso della moglie e dei figli, così come il diritto di abuso fisico e psicologico. Alcune femministe sostengono che la congiuntura del patriarcato come privilegio e autorità e della concezione della donna come proprietà finisce per sfociare in una “cultura dello stupro” in cui lo stupro e altre forme di violenza verso le donne sono riconosciute come la norma all'interno dell'ordine sociale. [37] Note
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