La caratteristica comune di tutte le comunità che si attribuiscono la denominazione cosiddetta "rom" è che parlano - o è attestato che nei secoli scorsi parlassero - dialetti variamente intercomprensibili, costituenti appunto la lingua romaní, che studi filologici e linguistici affermano derivare da varianti popolari del sanscrito e che trovano nelle attuali lingue dell'India del nord ovest la parentela più prossima.[22]
I rom propriamente detti sono un gruppo etnico che vive principalmente in Europa, distribuiti in una galassia di minoranze presenti principalmente nei Balcani, in Europa centrale e in Europa orientale, benché la loro diaspora li abbia portati anche nelle Americhe e in altri continenti. La disciplina che si occupa di studiare la storia, lingua e cultura dei popoli romaní è la romanologia.
Un dato costante della storia del popolo rom va rintracciato nella persecuzione che hanno sempre subito: la riduzione in schiavitù, la deportazione e lo sterminio (antiziganismo).[23] Lungo la storia che li accompagna fino ad oggi si è protratta nel tempo la diffidenza nata al loro primo apparire nel Medioevo europeo: il nomadismo come maledizione di Dio; la pratica di mestieri quali forgiatori di metalli, considerati nella superstizione popolare riconducibili alla magia; le arti divinatorie identificabili come aspetto stregonesco, ecc.[24] Di qui la tendenza delle società moderne a liberarsi di tale presenza anche a costo dell'eliminazione fisica. Tutti i paesi europei adottarono bandi di espulsione nei loro confronti, fino alla programmazione del genocidio dei rom, insieme a quello degli ebrei, durante il nazismo in Germania. Porajmos o Porrajmos (in lingua romaní «devastazione», «grande divoramento»), oppure Samudaripen («genocidio») indicano il tentativo del regime nazista di sterminare le popolazioni romaní durante la seconda guerra mondiale.
Dopo la seconda guerra mondiale ha preso forma un movimento che è arrivato in occasione del primo congresso nel 1971 a Londra alla creazione dell'Unione Internazionale Romaní. Questa Unione mira al riconoscimento di un'identità e di un patrimonio culturale e linguistico nazionale senza stato né territorio, cioè presente in tutti i paesi europei.
Si stima che nel mondo ci siano tra i 60 e i 80 milioni di rom. Tuttavia il numero ufficiale di rom è incerto in molti paesi,[25] questo anche perché molti di loro rifiutano di farsi registrare come etnia rom per timore di subire discriminazioni.[26]
Nel suo libro "Omero nel Baltico", Felice Vinci ipotizza che i sinti, maghi della metallurgia, siano trasmigrati dal sud della Svezia verso i paesi dell'oriente oltre 5000 anni fa.
Il termine rom
Oggi, in lingua romaní, rom significa uomo, marito e designa il popolo stesso solamente presso i rom propriamente detti.[27] Come per la storia delle origini delle popolazioni di lingua romaní, anche l'origine del termine rom è aperta a diverse ipotesi dibattute tra gli studiosi.
Rom è l'autonimo che la maggioranza della popolazione di lingua romaní utilizza per denominare il proprio gruppo. Si ritiene che questo termine sia strettamente correlato all'etnonimoḌom/Ḍomba, la cui prima apparizione nei testi sanscriti risale al "Sádhanamálá" (VII secolo d.C.), dove viene narrata l'esistenza di un re Ḍom, Heruka.[28] Questa ipotesi si basa sull'analogia tra la popolazione dei ḍomba o ḍomari (in sanscrito ḍoma, ma anche Domaki, Dombo, Domra, Domaka, Dombar e varianti dalla stessa radice), e i dom, un gruppo etnico dalle caratteristiche sedentarie e nomadiche del Medio Oriente. Tra le varie ipotesi, una delle più suggestive indicherebbe nella radice sanscrita Ḍom, onomatopeicamente connessa al suono del tamburo, che in sanscrito corrisponde alla parola Ḍamara e Ḍamaru, l'origine del termine.
I dom medio-orientali hanno una ricca tradizione orale ed esprimono la loro cultura e la loro storia attraverso la musica, la poesia e la danza. (Nell'XI secoloAl Biruni, in uno dei suoi scritti, fa menzione dei Ḍom come musicisti.) Nel nord-ovest dell'India, ancora oggi, numerosi Jati sono chiamate con il termine Ḍom, il che induce a ritenere che abbia avuto in passato lo status di un etnonimo. L'esistenza, inoltre, di rovine di antiche fortezze, chiamate "Ḍomdigarh", costituirebbe una prova che sia effettivamente esistito il regno dei Ḍom/Ḍomba, in seguito distrutto dalla dinastia Gupta, evento che avrebbe provocato la perdita dello status etnico dei Ḍom e la loro riduzione in Jati di infimo ordine. In base agli studi e le ricerche effettuate sui Ḍom/Ḍomba di oggi (sulla loro cultura, religione, etc.) si ritiene che essi appartengano a una popolazione che aveva abitato l'India prima dell'invasione degli Arii (nel 1500 a.C. circa).
Le prime ipotesi sulla correlazione tra il termine "rom" e i Ḍom/Ḍomba furono formulate dall'orientalista tedesco Hermann Brockhaus nel XIX secolo, e in seguito riprese dall'indologo tedesco August Friedrich Pott (pubblicate in un testo che è considerato la base dei moderni studi sui rom ("Die Zigeuner in Europa und Asien", 1845). Hermann Brockhaus trovò il termine Ḍom/Ḍomba in due importanti testi di letteratura sanscrita bramina: nel Kathasaritsagara ( "Oceano di Storie", una famosa collezione di leggende indiane scritta da Bhatta Somadeva nell'XI secolo) e nel "Rajatarangini" ("Il Fiume dei Re" una collezione scritta da Kalhana, considerato il primo storiografokashmiri). In entrambi questi testi i Ḍom/Ḍomba appartengono alla casta più bassa mentre gli autori appartenevano alla più alta casta, che considerava le popolazioni non arie come estranee al sistema Hindu, che era stato vittorioso sulle popolazioni dell'India.[28]
In alcune regioni dell'India di oggi (ad esempio a Benares), sono i Ḍom/Ḍomba che esercitano la funzione di cremare i morti, attività considerata degradante e "sporca". Diversamente nel Rajasthan, nel Punjab e nell'Uttar Pradesh, molti Ḍom esercitano il mestiere tradizionale di musicisti e alcuni membri di questo gruppo sono considerati influenti. In India, gruppi simili ai Ḍom/Ḍomba, per condizioni sociale e caratteristiche professionali, sono i gaḍe lohars (gaḍí: carro; lohár: fabbro), fabbri ambulanti; i Badis (tra i rom Badi/Bodi è uno dei cognomi più diffusi) suonatori di musica e acrobati; i Badjos (Badžo è un cognome molto diffuso tra i rom dell'Europa dell'est) musicisti; i Banjaras che sono mercanti fuori casta.[28]
I gruppi principali sono suddivisi in centinaia di sottogruppi o comunità romanès ("endaïa"). Ogni sottogruppo ha una propria specificità culturale, una propria etica e codice morale e un proprio dialetto della lingua romanì. Non esistono criteri di classificazione antropologici uniformi e le comunità romanès hanno assunto nel tempo etnonimi sulla base di diversi criteri: i mestieri e alle attività esercitati,[30] il dialetto, la regione di residenza o di provenienza, la confessione religiosa, o un patronimico. A ogni sottogruppo si fa seguire un'ulteriore divisione per nazionalità (nátsija), quindi per discendenza (vítsa) prendendo il nome del capostipite, quindi per famiglia, per arrivare all'individuo.[31][32]
Rom Calderari o Kotlari, dediti alla lavorazione del rame, dell’ottone o del ferro e alla fabbricazione di pentole o utensili di metallo; in Italia si suddividono in tre comunità familiari estese: Ciucuresti, Doresti e Zurkaja.
Rom Lautari, suonatori di lăuto (liuto o cordofono affine) e, per estensione, musicisti professionisti designati per l'intrattenimento di feste, matrimoni e ricorrenze;
Rom Lovari, allevatori di cavalli, dall'ungherese lòb - o Graśtari, dal romanès graśt, cavallo; soprattutto in Bulgaria
Rom Ursari, ammaestratori di orsi, anche detti Rićhkara dal romanès rićh (orso);
Rom Keramidara, fabbricanti di mattoni e ceramiche, dal romeno keramida;
Rom Setara o sepeči, produttori di setacci e cesti in vimini (dal turco sepetçi);
Rom Bugurdži, "che fanno i trapani" (dal turco bugurcu);
Rom Ćurara, affilatori di coltelli, (dal romaní čurín = coltello);
Rom italiani di antico insediamento (XIV-XV secolo):
Rom abruzzesi, di religione cristiana provengono dall'Abruzzo e dal Molise; arrivati via mare nell'Italia meridionale fra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo dalle coste dei territori ellenofoni e slavi.
Rom Harvati, da Istria e Croazia, in Italia sin dagli anni '20
i sinti/manush (o sinte), tra i quali si possono distinguere i sinti piemontesi e lombardi, la cui lingua è largamente influenzata dall'italiano e dal piemontese, e i sinti del Nord, la cui lingua è influenzata dal tedesco e dall'alsaziano. Essi si definiscono sinti e sono chiamati manouches dai francesi:
Sinti Estrekhàrja (austriaci)
Sinti Gàćkane: tedeschi di origine slava, arrivati in Italia attraverso la Francia (Alsazia) agli inizi del XX secolo; molti sono di confessione ortodossa;
Secondo alcuni studiosi, i pavee (in irlandese an lucht siúil) popolo nomade di origine irlandese son imparentati con il popolo rom, ma l'opinione è contestata[34].
Il romaní è l'unica lingua indoaria parlata, quasi esclusivamente, in Europa, fin dai tempi del Medioevo. È una lingua che la maggior parte dei linguisti ritiene discenda dalle lingue vernacolari dell'India settentrionale, i pracriti in contrasto con la lingua letteraria colta dei religiosi, il sanscrito, e che si sarebbe sviluppata indipendentemente proprio per la struttura sociale in caste che già caratterizzava l'India antica.
Studi di linguistica e di filologia hanno individuato moltissimi termini della lingua romaní che derivano dal persiano, dal curdo, dall'armeno, dal greco, che testimonierebbero del tragitto percorso dalle popolazioni rom, dal subcontinente indiano fino in Europa, in un periodo storico compreso tra l'VIII ed il XII secolo d.C.[38]
A causa dell'eterogeneità tra le comunità rom, gran parte degli antropologi ed etnologi ritengono possibile indicare in dettaglio solo le dinamiche intra-gruppo che fanno da sfondo agli aspetti sociali e organizzativi del "gruppo": la consapevolezza di appartenere all'etnia rom, il desiderio di essere indipendenti e dissociati dai gadže (gagé, ovvero "tutte le persone che non sono rom o sinti"), l'adattabilità e la sopravvivenza alle condizioni che minacciano la propria identità etnica.[42] La struttura sociale del gruppo, in generale, è definita dalla "coscienza collettiva" determinata dai confini che vengono posti nei confronti dei gagé, così come nei confronti degli altri gruppi rom e sinti.[28]
La famiglia (madre, padre, figli) è la struttura base della comunità rom. Oltre essa si pone la famiglia estesa, che comprende i parenti con i quali vengono sovente mantenuti i rapporti di convivenza nello stesso gruppo, comunanza di interessi e di affari. Oltre alla famiglia estesa, presso i rom esiste la kumpánia, cioè l'insieme di più famiglie non necessariamente unite fra loro da legami di parentela, ma tutte appartenenti allo stesso gruppo e allo stesso sottogruppo o a sottogruppi affini[31].
La tradizionale struttura sociale dei rom è rimasta intatta solo presso alcuni piccoli gruppi. Il Porrajmos distrusse la gran parte delle organizzazioni sociali preesistenti tra i gruppi rom e sinti dell'Europa centrale e orientale e i sopravvissuti allo sterminio nazista non furono in grado di ristabilire una nuova identità rom. La politica di assimilazione forzata dei paesi ex socialisti, attraverso il coinvolgimento dei rom nei kolkhoz contribuì, infine, a mettere fine al carattere nomadico delle popolazioni rom e alla struttura sociale che ne conseguiva. Le differenze storiche e culturali sedimentatesi nel corso della diaspora delle popolazioni rom fino in Europa, durante i secoli precedenti, hanno portato a una disomogeneità tra gruppi, principalmente tra i rom e i sinti, che si è sviluppata in differenze linguistiche e sociali.[senza fonte]
Le istituzioni che si occupano dei rom si trovano spesso ad affrontare il problema di un'opinione pubblica ostile, orientata a considerare solo i “dati antisociali” e le “statistiche criminali”[46] con la conseguenza di individuare nella condizione dei rom un fenomeno di devianza sociale.[46] Il modello “segregazionista” che ne consegue[47], che contempla disuguaglianze a livello della sfera pubblica, prosegue l'assenza di una politica di “reale integrazione”.
I rom vivono in due mondi diversi, due mondi che sono per alcuni aspetti incompatibili, per altri semplicemente paralleli. Il costante rapporto con i gagè è una relazione del tutto diversa con quella di altri popoli e minoranze etniche. Una relazione che non è di "confine", in quanto non vi sono “territori rom” e “territori non-rom”; né può essere definita una relazione coloniale, in quanto i gagè non hanno mai conquistato i rom, né viceversa. Le popolazioni non-rom costituiscono l'ambiente sociale dove vivono i rom. I rom vivono in mezzo ai gagè, all'interno di una struttura che è destinata da un lato a resistere a tutti i tentativi di genocidio culturale (dopo essere sopravvissuti all'olocausto), dall'altro a sfruttare con successo le risorse economiche e territoriali dei gagè, convivendo in un'ostilità estrema e collocandosi in tutte le nicchie nelle quali intravedono una possibilità.[46]
Secondo il risultato di una commissione d'inchiesta del Senato della Repubblica Italiana, a costruire l'immagine negativa del popolo rom contribuisce anche l'accattonaggio, specie se affidato a minori o a donne molto anziane. In particolare, il popolo è intrappolato nel circolo vizioso della cosiddetta “discriminazione statistica”: “siccome pare che in quella comunità ci sia più devianza, non mi fido e non do lavoro”. Quindi gli individui di quella minoranza non hanno vie di uscita e ripiombano in comportamenti, come l'accattonaggio, fastidiosi per la maggioranza o si procurano reddito con atti delittuosi di varia gravità che rinforzano il pregiudizio statistico.[48]
Nel 1971 fu istituita l'organizzazione mondiale dei Rom e sinti, divenuta successivamente l'Unione Internazionale Romaní (IRU).[52]
Nel 1979, l'ONU riconobbe all'IRU il ruolo di rappresentanza politica[53] globale del popolo rom, sinti, manouche e gitano.[54] Tuttavia, al 2001[55] quest'organizzazione non governativa e non territoriale non era qualificata come membro osservatore delle Nazioni Unite.
L'organizzazione ha una sede a Sibiu, in Romania[53], e una seconda sede a Praga.[56]
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The Special Secretariat for the Promotion of Racial Equality estimates the number of "ciganos" (gypsies) in Brazil at 800,000 (2011). The 2010 IBGE Brazilian National Census encountered gypsy camps in 291 of Brazil's 5,565 municipalities. Falta de políticas públicas para ciganos é desafio para o governo, su noticias.r7.com, R7, 2011. URL consultato il 22 gennaio 2012 (archiviato dall'url originale l'11 gennaio 2012).
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«The Spanish government estimates the number of Gitanos at a maximum of 650,000.»
^Population by national/ethnic groups, su nepszamlalas.hu, Hungarian Central Statistical Office. URL consultato il 15 settembre 2010 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2007).
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