Xª Flottiglia MAS (Repubblica Sociale Italiana)
La Xª[N 1] Flottiglia MAS (dal 1º maggio 1944 la parte di fanteria marina venne rinominata in Divisione fanteria di marina Xª [1] anche nota come Xª MAS) è stato un corpo militare indipendente di matrice fascista[2], fondato a seguito dell'armistizio di Cassibile nel settembre del 1943 dal capitano di fregata Junio Valerio Borghese con membri del precedente reparto ufficiale della Regia Marina (10ª Flottiglia MAS). Parte della Marina Nazionale Repubblicana della Repubblica Sociale (RSI), strinse accordi con il capitano di vascello Berninghaus della Marina da guerra del Terzo Reich. Nei suoi due anni di attività operò in coordinazione coi reparti tedeschi, sia per contrastare l'avanzata alleata dopo lo sbarco di Anzio e sulla Linea Gotica e nel Polesine, sia in operazioni contro la resistenza italiana - attività durante la quale l'unità impiegò tattiche tipiche della guerra antipartigiana macchiandosi di crimini di guerra[3] - e infine nel tentativo di difendere i confini nordorientali dalla controffensiva iugoslava, cercando anche di affermare l'italianità di quelle regioni di fronte alle politiche annessionistiche dell'occupante tedesco[4][5][6][7] sostenuto da elementi collaborazionisti serbi, croati e sloveni.[8][9] Peraltro questi tentativi, ostacolati dai tedeschi, non ottennero risultati ed i reparti inviati in Venezia Giulia furono presto fatti trasferire al di qua del Piave e del Brenta, a Thiene, dal Gauleiter Rainer, deciso a mantenere il controllo totale della regione.[10] La Xª Divisione MAS si arrese il 26 aprile 1945 ai rappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) nella caserma di piazzale Fiume (l'attuale piazza della Repubblica) a Milano dopo la cerimonia dell'ammaina bandiera.[11] StoriaL'armistizioNella confusione e nello sbandamento delle forze armate causato dalle circostanze dell'armistizio dell'8 settembre, la 10ª Flottiglia MAS (Motobarca Armata Silurante - già denominata: Motobarca Armata SVAN nella prima guerra mondiale) a differenza di quasi tutti i reparti delle Regie forze armate non si sbandò. La parte della 10ª rimasta nel Regno del Sud costituì una unità denominata Mariassalto, che effettuò numerose missioni di sbarco e di recupero di sabotatori e di informatori in territorio nemico oltre che di rimpatrio dai Balcani di militari nazionali sbandati; essa partecipò inoltre a due azioni, rispettivamente per mantenere aperto il Porto della Spezia e contro l'uso da parte tedesca del Porto di Genova[12]. Alla prima di queste azioni prese parte Luigi Durand de la Penne una volta rimpatriato dalla prigionia. La sera dell'8 settembre 1943 Junio Valerio Borghese (che da maggio era comandante della 10ª Flottiglia MAS), ascoltato per radio, alla caserma del Muggiano a La Spezia, il proclama dell'armistizio, ordinò l'assemblea degli ufficiali, rafforzò la difesa della caserma e si recò dal suo diretto superiore, l'ammiraglio Aimone d'Aosta; insieme i due cercarono di contattare telefonicamente Roma per avere conferma dell'armistizio e ricevere ordini; solo verso le 22 riuscirono a parlare con l'ammiraglio Umberto Rouselle il quale si limitò a confermare lo stato d'armistizio[13]. Borghese tornò alla caserma e invitò tutto il personale a rimanere ai propri posti; congedò invece i circa quindici militari tedeschi presenti (che stavano seguendo dei corsi d'addestramento) e consegnò al loro ufficiale una lettera da consegnare al generale Friedrich-Wilhelm Hauck, che in quel momento stava procedendo a occupare con le sue truppe le zone nevralgiche della città; nella lettera era scritto: «Il Comandante della Flottiglia dà la sua parola d'onore di soldato che non prenderà le armi contro i tedeschi e chiede l'onore di poter conservare il suo comando e le sue armi fino a quando sia stato raggiunto un accordo con le Autorità Tedesche.» Secondo lo storico Massimiliano Capra Casadio questo contatto «costituisce il primo passo di Borghese verso l'accordo con le autorità germaniche» e in tali parole di Borghese si nota «come, già nella notte fra l'8 e il 9 settembre, il comandante stesse maturando la sua decisione di rifiutare l'armistizio e di cercare un'intesa con i tedeschi al fine di garantire l'esistenza della sua formazione. Questa iniziativa», continua Capra Casadio, «derivò anche dall'impossibilità di ricevere indicazioni o direttive da qualsiasi autorità italiana»[14]. Secondo alcune testimonianze del dopoguerra, la 10ª MAS avrebbe continuato a rimanere priva di ordini[15]. Secondo una versione, la Decima avrebbe respinto numerosi tentativi tedeschi di penetrare nella caserma[16]. Lo storico Ricciotti Lazzero scrive invece che i primi soldati tedeschi entrarono a La Spezia la mattina del 9 settembre, catturarono il generale Carlo Rossi con tutti i suoi ufficiali, occuparono «gli impianti portuali, gli arsenali e gli altri punti strategici»[17], ma «una sola caserma non [venne] attaccata: quella della Decima Mas»[17]. Scrive Capra Casadio che in quei giorni «furono diversi i reparti germanici che chiesero di entrare al Muggiano, alcuni per fare riposare gli uomini, altri intenzionati a occupare la caserma. A tutti Borghese rispose con un netto rifiuto, mantenendo la difesa e l'inviolabilità della sua sede. Non mancarono momenti di tensione nei quali i marò dovettero puntare le mitragliatrici contro le truppe tedesche che, sotto la minaccia delle armi, abbandonarono le loro pretese»[18]. La Decima mantenne l'attività nella caserma immutata e per tutto il tempo la bandiera italiana rimase sul pennone[19]; tuttavia - precisa Capra Casadio - «il Tricolore difeso dalla Flottiglia non era più uguale a quello che aveva preceduto l'armistizio. All'adunata del 9 settembre, infatti, i marinai avevano tagliato, dalla striscia bianca centrale della bandiera italiana, lo stemma di Casa Savoia, un gesto che simboleggiava il rifiuto della monarchia da parte della Decima. Si era definitivamente spezzato, così, il legame più importante per degli uomini di Marina, quello con la Casa Regnante»[20]. Il 9 settembre gli ufficiali si riunirono per decidere la strada da intraprendere e Borghese ribadì la sua intenzione di continuare la guerra contro gli Alleati, scegliendo l'alleanza con la Germania. L'11 settembre radunò i marinai di stanza a La Spezia spiegando la situazione e dando il permesso di congedarsi a coloro che non se la fossero sentita di continuare la guerra[21]. La maggioranza preferì tornare a casa[21] e fu messa in licenza illimitata salvo eventuali richiami, mentre poco più di un centinaio di uomini (in gran parte ufficiali) decisero di rimanere con Borghese per continuare a combattere contro gli anglo-americani[20]. Lazzero scrive che nella notte fra l'8 e il 9 settembre, mentre Borghese decide «di non accettare la resa agli Alleati, tutte le unità efficienti della Regia Marina [...] si trasferiscono, obbedendo agli ordini e in osservanza delle clausole dell'armistizio, nei porti designati al Sud»[22]. In particolare, più di dieci unità navali della Marina militare italiana erano salpate dal porto di La Spezia, unendosi ad altre al largo del golfo ligure per proseguire verso Malta[23]. Altri storici però, in contrapposizione alla storiografia tradizionale secondo la quale i comandanti obbedirono con disciplina agli ordini, hanno sottolineato come in molti ambienti della Marina militare italiana l'armistizio sia stato vissuto «come una sconfitta umiliante e lesiva dell'onore militare e delle tradizioni dell'arma, tanto da suscitare in alcuni una vera rivolta spirituale»[24], e hanno considerato «ancora incerto il numero delle navi autoaffondate e degli ufficiali che si rifiutarono di eseguire gli ordini ricevuti durante l'armistizio»[25]. La ricostituzioneScrive Ricciotti Lazzero che dopo l'armistizio «Borghese contatta subito i tedeschi, e i tedeschi, comprendendo che quel comandante italiano non li abbandonerà, dispongono per i primi incontri secondo disposizioni ricevute da Berlino»[26]. Il 12 settembre 1943 arrivò a La Spezia il tenente di vascello Max Berninghaus della Kriegsmarine, la Marina da guerra germanica, per assumere il comando del litorale ligure; fra lui e Borghese si svolsero diversi colloqui durante i quali Borghese dichiarò che la Decima non accettava l'armistizio con gli Alleati ma non intendeva cedere ai tedeschi i suoi impianti e le armi; prospettò dunque un accordo che permettesse alla Decima, mantenendo la propria divisa, di continuare a combattere a fianco dei tedeschi e contro gli anglo-americani[20]. Borghese strinse dunque il 14 settembre direttamente con Berninghaus (previa approvazione da parte dei superiori di quest'ultimo)[27] un trattato che permetteva la continuazione dell'attività della 10ª con il Terzo Reich, cambiando nella denominazione il numero arabo "10" (10ª MAS) nel numero romano "X" lasciando la ridondante "ª" (Xª MAS)[28], conservando bandiera (a cui era stato tolto l'emblema dei Savoia) e divisa italiane, seppur sotto il controllo operativo tedesco. Accordo Borghese-Berninghaus
14 settembre 1943 La Spezia, 14 settembre 1943 1. La X.a Flottiglia Mas è unità complessa appartenente alla Marina militare italiana, con completa autonomia nel campo logistico, organizzativo, della giustizia e disciplinare, amministrativo; 2. è alleata delle FF. AA. [Forze Armate] germaniche con parità di diritti e di doveri; 3. batte bandiera da guerra italiana; 4. con riconosciuto a chi ne fa parte il diritto all'uso di ogni arma; 5. è autorizzata a recuperare ed armare, con bandiera ed equipaggi italiani, le unità italiane che si trovano nei porti italiani; il loro impiego operativo dipende dal comando della Marina da guerra germanica; 6. il Comandante Borghese ne è il capo riconosciuto, con i diritti e i doveri inerenti a tale incarico.
Secondo Capra Casadio è probabile che ai fini della stipulazione del trattato abbia giocato «un ruolo decisivo anche il Grossadmiral Karl Dönitz, dal gennaio 1943 capo di Stato Maggiore della Kriegsmarine, legato a Borghese da un rapporto personale di profonda stima»[30]. Un autore prospetta anche l'ipotesi che Borghese e Dönitz si siano accordati fra loro prima dell'8 settembre, vista la stranezza del comportamento dei militari tedeschi nei confronti della Decima poco dopo l'armistizio, comportamento che potrebbe essere indice dell'esistenza di un ordine ben preciso «di non toccare quel reparto della Marina Italiana»[31]. Scrive ancora Lazzero: «La Decima Mas [...] è autonoma nella sua costituzione come unità militare italiana, ma dipende totalmente dai tedeschi» e viene messa agli ordini del capo delle SS in Italia generale Karl Wolff[32]. Quest'ultimo più tardi testimonierà: «Borghese con le sue unità fu messo ai miei ordini per la lotta antipartigiana così come per il mantenimento della pace, dell'ordine e della sicurezza alle spalle delle zone occupate dell'esercito tedesco in Italia e impiegato con successo, anche contro la volontà e la resistenza degli alti comandi tedeschi [...]. Egli si comportò dal 1943 fino all'amara fine della guerra [...] senza dar luogo ad alcun attrito ed esemplarmente con noi camerati tedeschi nella comune lotta»[33]. Sempre Wolff spiega che la Decima era «un corpo autonomo italiano, il quale insieme al suo comandante Borghese era alle mie personali dipendenze e da me riceveva gli ordini d'impiego e a me doveva rendere conto delle sue azioni. Borghese aveva la facoltà, nel suo ambito interno di servizio, di dare autonomamente ordini, ma per tutte le azioni principali e importanti doveva ricevere la mia approvazione»[34]. Lazzero aggiunge che Wolff, pur fidandosi di Borghese, «gli piazza alle costole alcuni ufficiali delle SS che funzionano da tramite tra lui e il comandante della Decima e che devono riferirgli su tutto»[35]. Il 18 settembre si unirono alla Decima Mas trecentocinquanta marò, al comando del maggiore del genio navale Umberto Bardelli, che subito dopo l'armistizio avevano tenuto servizio d'ordine pubblico a Pola ed erano poi giunti a La Spezia via terra con molto materiale d'equipaggiamento; furono essi i primi armati ad essere inglobati nella nuova Decima[36]. Fin dai primissimi giorni dopo l'armistizio iniziarono a giungere numerosi volontari: sia militari sbandati, sia civili che condividevano la scelta di continuare a combattere contro gli Alleati ed erano attratti dalla fama conquistata dalla Decima con le sue imprese[37]. La valutazione più probabile sul numero dei volontari indica in circa 18.000 uomini il numero complessivo degli armati della Decima al gennaio 1945[38]. Furono emanati nuovi regolamenti interni che sancirono fra l'altro: unicità del rancio fra ufficiali, sottufficiali e comuni; divisa confezionata con panno uguale per tutti; paga pari a quella normale del Regio Esercito, aumentata dell'indennità di doppia missione; tutte le promozioni sospese fino alla fine della guerra, eccezion fatta per quelle conseguite sul campo per meriti di guerra; reclutamento esclusivamente volontario; pena di morte per i militari riconosciuti colpevoli di furto o saccheggio, diserzione o codardia in faccia al nemico[39][40]. Secondo Capra Casadio tali norme delineavano «l'intenzione palese della Flottiglia di distaccarsi completamente dal Regio Esercito e dai suoi regolamenti», di divenire una forza non solo militare ma anche «ideologica e morale» e manifestavano un «senso di rifiuto nei confronti della disciplina formale imposta dalle antiche istituzioni, e quindi il desiderio di creare un organismo del tutto nuovo»[41]. L'ingente afflusso di volontari a fronte di una limitata disponibilità di mezzi navali pose fin dall'inizio il problema di trovare a tanti uomini un impiego differente dalla guerra per mare; furono così costituite formazioni di fanteria di marina, attrezzate per la guerra terrestre, sul modello del Reggimento "San Marco" del Regio esercito[42]. Grazie all'accordo stipulato direttamente con gli occupanti tedeschi, la Decima godeva di un canale privilegiato per le forniture di armi, munizioni ed equipaggiamenti: poteva indirizzare direttamente alle ditte fornitrici italiane ordinazioni controfirmate da un ufficiale superiore del Comando germanico[43]. Oltre alle procedure ufficiali, la Decima per procurarsi i necessari approvigionamenti si avvaleva di metodi più informali, che includevano la corruzione e il raggiro delle autorità germaniche, la requisizione dei vecchi depositi del Regio esercito, il furto ai danni dei tedeschi, ma anche estorsioni, razzie e soprusi ai danni dei civili italiani[44]. Tra i mezzi di autofinanziamento della Decima rientravano anche la borsa nera e il contrabbando[45]. Per contro, la Decima organizzò anche alcune iniziative assistenziali, fra cui (nei primi mesi del 1945) una missione d'assistenza nei campi di concentramento ove erano reclusi gli internati militari italiani, che portò a questi ultimi centinaia di pacchi contenenti vestiario e generi di conforto[46]. Il 24 settembre 1943 Borghese si recò in aereo a Berlino dove incontrò il comandante della marina militare tedesca, grande ammiraglio Karl Dönitz, che aveva stima per Borghese e lo aiutò fra l'altro ad arruolare armati per la Decima fra gli internati militari italiani[47]. Rapporti fra Xª e RSINumerosi furono i problemi organizzativi che si erano materializzati per il nuovo corpo, sia per le oggettive condizioni economiche e militari dell'Italia settentrionale, sia a causa delle difficoltà sollevate dalle autorità tedesche e repubblicane. Borghese negoziò direttamente con la Germania nazista i termini della sua collaborazione con l'Asse. Questo dal punto di vista della legittimità del corpo e del suo successivo inserimento nell'organico della RSI pose non pochi problemi, e caratterizzò i rapporti fra Borghese e RSI, tanto che alcuni autori stentano a considerare la Xª MAS di Borghese un corpo della Repubblica Sociale Italiana, bensì un vero e proprio corpo franco o compagnia di ventura inserita nell'ambito delle forze dell'Asse: in realtà, la Xª e la RSI mantenevano rapporti difficili, perché l'autorità politica della RSI cercava faticosamente di ricondurre tutte le varie forze armate e di polizia sotto il suo controllo centralizzato (in quanto solo allo Stato è concesso il monopolio dell'uso della forza, secondo il diritto). D'altro canto, Borghese aveva ottenuto legittimazione dai tedeschi, attraverso il capitano di vascello Berlinghaus della Kriegsmarine, con il riconoscimento a combattere sotto bandiera italiana, ottenendo ampia autonomia. Pur rispondendo, in pratica, al comando tedesco e amministrativamente dal Ministero della Difesa repubblicano, la Xª MAS era formalmente equiparata alla Wehrmacht, e in pratica era un corpo franco.[48] Il comportamento apertamente autonomistico nei confronti delle autorità repubblicane (fino alla strafottenza) - alle quali formalmente la Decima avrebbe dovuto appartenere e da cui amministrativamente dipendeva, avendo i suoi uomini giurato secondo la formula prevista dal governo repubblicano - causò molti attriti con altri organismi della Repubblica Sociale e perfino la ventilata possibilità che Borghese tentasse un colpo di Stato contro Mussolini. In seguito alle voci circolanti su questa eventualità, Borghese, convocato a Gargnano, fu posto agli arresti il 14 gennaio 1944. La voce dell'arresto di Borghese, attraverso circostanze fortuite, arrivò al comando della Decima, che valutò addirittura l'ipotesi di marciare su Salò. Probabilmente l'incidente fu risolto anche con la mediazione dei tedeschi, che non volevano una lotta intestina tra i loro alleati.[49] Tutto venne risolto in tempi brevi con il rilascio di Borghese e il seguente licenziamento del sottosegretario alla Marina, Ferruccio Ferrini, da parte di Mussolini, che lo sostituì con il contrammiraglio Giuseppe Sparzani. Borghese divenne sottocapo di Stato Maggiore ed ebbe ai suoi ordini tutte le attività operative di Marina.[50] Borghese, d'altronde, aveva sempre ostentato disprezzo nei confronti dei partiti e aveva la propensione per un modello di società organicista e militarista secondo il modello che realizzò con la Decima. Nella Xª MAS di Borghese non venne mai fatto il "saluto al Duce", ma solo il saluto "Decima marinai! Decima Comandante!" (di questo lo stesso Borghese venne accusato da parte di chi lo voleva esautorare dal comando della Decima). Dopo l'alleanza coi tedeschi, il nuovo corpo si dedicò all'organizzazione militare al fine di poter recarsi al fronte a combattere gli anglo-americani. La sera del 3 marzo 1944[51][52] il battaglione "Barbarigo" (il primo reparto di fanteria della marina, guidato da Bardelli) entrò in linea nei pressi di Anzio e Nettuno, dove venne impiegato contro gli Alleati durante lo Sbarco di Anzio,[53][54][55] operando però alle dipendenze della 175ª divisione tedesca. La DivisioneI diversi reparti di fanteria, con il 3º reggimento San Marco e il 1° comprendente il "Barbarigo", vennero raggruppati nella Divisione Fanteria di Marina "Xª", costituita il 1º maggio 1944. Dopo la rotta seguita allo sfondamento di Cassino, i reparti della Decima furono impiegati in maniera disorganica anche in operazioni di polizia e di contro guerriglia in Italia settentrionale contro i partigiani, mentre sul fronte della Linea Gotica venivano inviati nel 1945 il "Lupo", il "Nuotatori Paracadutisti" o "NP" (Polesine), e il gruppo d'artiglieria "Colleoni" (sul fiume Senio). Questi reparti ebbero pesanti perdite in combattimento durante l'ultima offensiva nemica, e ricevettero numerose decorazioni dai tedeschi; il "Lupo" e lo "NP", dopo il crollo della linea Verde, riuscirono a ripiegare su Venezia, dove rimasero fino all'arrivo degli alleati, a cui si arresero con l'onore delle armi. Nel 1945 Borghese riorganizzò la Divisione Decima nel Veneto su due Gruppi di Combattimento (di cui uno a ranghi incompleti, perché, come abbiamo visto, due battaglioni e un gruppo d'artiglieria erano aggregati alle divisioni tedesche sulla Linea Verde). L'obbiettivo era quello di costituire una grossa massa di manovra da spostare a Trieste e Fiume per evitare alle città la prevedibile occupazione titina, mentre si intensificavano i contatti con i servizi segreti regi, americani e britannici per favorire uno sbarco italo-inglese in Istria. Tuttavia il precipitare degli eventi e il completo controllo del cielo da parte alleata impedì alla Divisione Decima di raggiungere le posizioni previste (né d'altro canto vi fu il promesso sbarco italo-britannico). I reparti così rimasti immobilizzati si arresero alle truppe alleate con l'onore delle armi fra il 29 aprile ed il 2 maggio 1945. Il coinvolgimento nella guerra civileNonostante la premessa di voler partecipare solo alla guerra per la "liberazione dell'Italia invasa" ben presto i reparti della Decima furono coinvolti dai tedeschi nelle operazioni di controguerriglia, ma gli ufficiali furono lasciati liberi di congedarsi senza conseguenze qualora avessero rifiutato di sollevare le armi contro altri italiani[56]. La Decima si macchiò di numerosi crimini di guerra, come la fucilazione di prigionieri, la cattura di ostaggi fra i civili, la tortura di partigiani (o civili presunti tali) catturati. La decima, nata per proseguire la guerra contro gli angloamericani, fu inizialmente risparmiata dalle azioni partigiane e gappiste, fino al 23 gennaio 1944, quando un attacco dinamitardo fece saltare a La Spezia il tram che collegava il centro cittadino colla sede della Decima nella Caserma San Bartolomeo, provocando la morte di tre fucilieri di marina e due cittadini. In seguito a questo episodio, la Decima inviò dei reparti in supporto ai tedeschi per un rastrellamento nelle montagne prospicienti La Spezia, durante il quale non si ebbero scontri a fuoco, ma solo sequestri d'armi. La prima rappresaglia compiuta dalla Decima risale invece al marzo 1944, quando il treno Parma-La Spezia fu bloccato dai partigiani per liberare alcuni prigionieri che i fascisti dovevano trasportare a Parma e, nell’azione, morirono il sottotenente Gastone Carlotti della X Mas, il sottotenente Domenico Piropan, la guardia nazionale repubblicana Luigi Comelli e venne gravemente ferito il militare Riziero Biancardi.[57]. La Decima ordinò un rastrellamento, durante il quale 13 partigiani furono sorpresi: quattro morirono nello scontro a fuoco e altri nove furono portati alla Spezia. Di questi, un minorenne fu rilasciato, e gli altri otto furono fucilati. Spostate le unità in Piemonte alla Decima fu sempre più spesso richiesta la partecipazione alle operazioni di grande polizia, richieste alle quali la formazione aderì sempre con riluttanza e mettendo a disposizione nuclei di entità inferiore alla compagnia[58]. Per fronteggiare le sempre più frequenti azioni dei partigiani, viene costituita una speciale "Compagnia O" (operativa), composta da 120 uomini al comando del tenente Umberto Bertozzi. Non è chiaro invece il suo rapporto con Borghese e coi comandi della Decima: pare piuttosto plausibile che detta compagnia "O" sia stata maltollerata quanto necessario per venire incontro alle urgenze della primavera-estate 1944, e appena possibile sciolta e i suoi elementi inviati nel Distaccamento "Milano"[59]. Tuttavia, il 4 luglio 1944 l'episodio dell'uccisione del comandante Umberto Bardelli spinse Borghese a tornare sulla sua decisione di non impiegare i suoi uomini nella controguerriglia. Così dall'autunno 1944 anche la Decima fu massicciamente coinvolta nella guerra civile contro i partigiani italiani, dispiegando una forza ed una violenza impressionante. «mentre le altre formazioni operavano in funzione antipartigiana, la Decima attese che i partigiani attaccassero per poi procedere, con riluttanza, alla guerra antipartigiana. La differenza è tuttavia assai sottile, vista la guerra civile. In ogni caso, almeno nei vertici e nelle intenzioni, la Decima non voleva combattere contro altri italiani, bensì portare a termine l’impegno d’onore verso la nazione concludendo la guerra anche con una sconfitta. Ciò determinò, in qualche caso, momenti di cavalleria e di rispetto fra le due parti in lotta e persino qualche momentaneo accordo politico» L'8 luglio 1944 Bardelli si recò personalmente alla ricerca del guardiamarina Gaetano Oneto, disertore del "Sagittario" che, unitamente ad altri fucilieri, era fuggito con la cassa del battaglione. Giunto nel borgo di Ozegna con una scorta, si trovò faccia a faccia coi guerriglieri della formazione "Matteotti" al comando del partigiano Piero Urati, detto Piero Piero. Per evitare uno scontro fratricida, Bardelli depose le armi e ordinò ai suoi di fare lo stesso. Iniziarono così a parlamentare coi partigiani per ottenere la consegna del disertore, in un clima di crescente tensione. Dopo aver concordato lo scambio del disertore Oneto con dei prigionieri partigiani, Bardelli lasciò il convegno con Piero Piero, ma si trovò circondato da uomini della "Matteotti". Piero Piero intimò la resa al comandante repubblicano, il quale rifiutò urlando«Barbarigo non si arrende! Fuoco!». Nel rapido scontro a fuoco che ne seguì Bardelli e 10 fucilieri furono uccisi. Le salme furono ricomposte nell'attuale oratorio del paese e i feriti curati da alcune religiose del posto. I fucilieri prigionieri, invece, furono catturati dai partigiani e portati "in montagna", dove sarebbero stati sottoposti a varie pressioni (fra cui la "falsa fucilazione") per indurli a disertare e passare con la "Matteotti". Furono poi rilasciati una settimana dopo, a seguito di uno scambio con prigionieri partigiani. Caddero anche sette partigiani ed un civile[60]. Secondo l'ufficio propaganda della Decima il corpo di Bardelli fu rinvenuto privo di due denti d'oro, mentre due caduti furono rinvenuti dai paesani ammassati contro un muro e imbrattati di sterco e con della paglia in bocca (secondo alcuni a causa del trasporto con un carretto sporco, ma tale versione risulta respinta da altra storiografia[61]). In seguito a questo evento Borghese radunò lo stato maggiore della Decima comunicando la sua decisione e ribadendo il carattere volontario della Decima. Chiunque non avesse voluto rimanere nella Decima, che era nata per combattere al fronte gli anglo-americani, e che da quel momento si trovava coinvolta nella guerra civile, avrebbe ottenuto il congedo illimitato: quindici ufficiali su duecento chiesero ed ottennero d'essere messi in congedo per non dover partecipare alla guerra civile.[62] Dopo altri due mesi di imboscate e rastrellamenti si giunse ad un nuovo abboccamento fra i reparti della Decima e della formazione di Piero Piero che portò alla costituzione, caso più unico che raro, di un plotone d'esecuzione misto per l'esecuzione del disertore Oneto. Oneto, dopo essere stato degradato, venne fucilato nei pressi di Configlietto Val Soana da un picchetto comandato dal tenente di vascello Montanari, formato da sei fucilieri del battaglione Barbarigo e sei partigiani della Brigata De Franchi il 4 settembre 1944. All'esecuzione assistette un picchetto di venti fucilieri della Decima e di venti partigiani.[4][61]. Nonostante questo episodio (che ebbe come strascico l'arresto di Piero Piero per ordine di altri capi partigiani, anche in seguito alle esazioni compiute dal gruppo in Valchiusella. Il malcontento della popolazione sfociò in un'inchiesta da parte dei partigiani dell'area che fecero cessare le requisizioni e i furti di cibo e bestiame), la Decima si trovò coinvolta sempre più profondamente nella guerra civile. Subendo - in quanto forza militare alleata dei tedeschi e al pari delle forze militari di questi - attacchi, catture ed imboscate[63] in numero crescente, i suoi uomini reagirono sempre più violentemente, fino a perpetrare veri e propri crimini di guerra contro le popolazioni civili. Fra gli episodi più significativi si inquadra l'esecuzione sommaria del partigiano garibaldino Ferruccio Nazionale, detto "Carmela", il cui corpo, immortalato in una macabra foto, è divenuto uno dei simboli della ferocia cui si giunse durante la guerra civile. Ad Ivrea il partigiano Nazionale decise di attentare alla vita del cappellano militare della Decima, don Augusto Bianco. Bloccato con una bomba a mano in pugno, proprio un istante prima che potesse scagliarla, fu sommariamente giustiziato il 29 luglio tramite impiccagione nella piazza del municipio[64]. Il corpo, lasciato appeso con cartello al collo divenuto tristemente famoso per una foto scattata da un fuciliere (vedi foto), sarebbe dovuto rimanere appeso quale monito per la popolazione, che venne raggruppata e fatta sfilare davanti al suo cadavere[65]. Secondo le testimonianze di alcuni partigiani (raccolte però successivamente ai fatti), al momento dell'impiccagione Nazionale era praticamente già morto a causa delle torture subìte da parte dei fucilieri della compagnia "O", generalmente ritenuta la più violenta della Decima, e, sempre secondo queste testimonianze, nell'ambito delle torture gli sarebbe anche stata mozzata la lingua[66][67]. Tuttavia, dopo poche ore, un ufficiale del battaglione "Fulmine", non ritenendo compatibile un simile spettacolo di ferocia con l'onore del proprio reparto, ordinò che il corpo fosse deposto, e cristianamente sepolto nel cimitero cittadino, alla presenza di un picchetto di fucilieri.[4]. La particolare crudezza che caratterizzò le azioni della Decima durante le operazioni antipartigiane è stata spiegata così dallo storico Renzo De Felice: «Tipici in questo senso sono i tre stadi che spesso sono riscontrabili nel loro atteggiamento […] primo, la Decima combatte per l’onore della patria; la sua guerra è contro il nemico invasore dell’Italia e non ideologica e di partito, che divide gli italiani invece di unirli nel nome della patria, e, dunque, la Decima non combatte contro i partigiani; secondo, se però i partigiani si accaniscono contro di essa, vendichi i suoi morti; terzo, ogni forma di clemenza verso i partigiani dettata dal governo o dal PFR da considerazioni di ordine politico non può essere accettata e non riguarda la Decima, i nemici attivi della patria, coloro che uccidono chi ne difende l’onore e il territorio non possono trovare clemenza.» Crimini di guerraI crimini di guerra della Xª MAS si svolsero essenzialmente in paesi e frazioni, dove era concentrata l'attività partigiana. Sono stati citati i seguenti episodi a carico della Decima durante il processo al suo comandante nel dopoguerra:
Nel processo che Borghese subì dopo la guerra, una testimonianza suggerì anche che in alcune delle rappresaglie di cui furono protagonisti, gli uomini della Decima indossassero uniformi tedesche, probabilmente per farle attribuire esclusivamente all'esercito tedesco.[73]. Nella sentenza di rinvio a giudizio del processo contro Junio Valerio Borghese, le accuse erano di aver effettuato, tra le altre cose: «continue e feroci azioni di rastrellamento di partigiani e di elementi antifascisti in genere, talvolta in stretta collaborazione con le forze armate germaniche, azioni che di solito si concludevano con la cattura, le sevizie particolarmente efferate, la deportazione e la uccisione degli arrestati, e tutto ciò sempre allo scopo di contribuire a rendere tranquille le retrovie del nemico, in modo che questi più agevolmente potesse contrastare il passo agli eserciti liberatori [... ] ingiustificate azioni di saccheggio ed asportazione violenta ed arbitraria di averi di ogni genere, ciò che il più delle volte si risolveva in un ingiusto profitto personale di chi partecipava a queste operazioni» Tuttavia nel dispositivo della sentenza, Borghese fu condannato a 12 anni di carcere ed esclusione dai pubblici uffici solo per "collaborazione militare" coi tedeschi, escludendo il suo coinvolgimento nei crimini di guerra come la sua partecipazione ai reati di omicidio e saccheggio[85]. Durante gli anni sessanta seicentonovantacinque fascicoli riguardanti le stragi nazifasciste in Italia vennero "archiviati provvisoriamente" dal procuratore generale militare, principalmente per ragioni di convenienza politica, e i vari procedimenti furono bloccati, garantendo quindi l'impunità per i responsabili ancora in vita. Successivamente, nel 1994, durante la ricerca di prove a carico di Erich Priebke per la strage delle Fosse Ardeatine, venne scoperta l'esistenza di questi fascicoli (trovati in quello che giornalisticamente è stato definito l'Armadio della Vergogna): tra di questi ve ne erano diversi riferiti a fatti compiuti da personale della Decima Mas di Borghese.[86]. Il fronte orientaleSubito prima della costituzione della Repubblica Sociale, i tedeschi avviarono una politica di annessione delle Tre Venezie, riunendo le province di Bolzano, Trento, Belluno, al Gau dell'Alto Tirolo, dietro il pretesto della costituzione di una zona d'operazioni nota con il nome di Alpenvorland, e quelle di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana (già aggregata come Provincia Autonoma alla Venezia Giulia) al Gau della Carinzia nell'ambito della zona d'operazioni chiamata Adriatisches Küstenland (rimase Zara, pur sotto occupazione militare tedesca, sotto il controllo delle autorità della RSI). Soprattutto le terre orientali, già minacciate di annessione dagli ustascia croati alleati dei nazisti, furono teatro di aspri scontri coi partigiani di Tito, che - organizzati in formazioni di notevoli dimensioni e potenziale bellico - cercavano di sconfinare nella Venezia Giulia per poter reclamare, secondo il principio dell'uti possidetis, l'annessione di questa alla Jugoslavia. Perciò la Decima ebbe un notevole impiego sul fronte dell'Istria e del Carso e nelle retrovie dell'esercito tedesco soprattutto nel 1944, collaborando con i tedeschi nello scontro con i partigiani titini (insieme agli altri cinque reggimenti italiani inquadrati nelle Forze Armate germaniche come Milizia Difesa Territoriale e ai reparti e batterie di difesa costiera). Gli scontri con i titini assumevano spesso l'aspetto tipico della guerriglia, con azioni crudeli ed atrocità alle quali seguivano altrettanto crudeli rastrellamenti da parte nazifascista, mentre solitamente le truppe titine rifiutavano la battaglia in campo aperto, dove ancora non potevano avere ragione dei tedeschi e dei loro alleati. Sulla frontiera orientale i battaglioni Sagittario, Barbarigo, Lupo, appoggiati dai gruppi d'artiglieria San Giorgio ed Alberto da Giussano e da parte dei battaglioni Nuotatori Paracadutisti, guastatori Valanga e genio Freccia furono coinvolti nell'Operazione Aquila (Adler Aktion) per la distruzione delle forze del IX Korpus iugoslavo, e quindi il Fulmine fu impiegato per arginare i tentativi di invasione iugoslava della Venezia Giulia, rimanendo coinvolto in un aspro scontro con i partigiani iugoslavi nella Battaglia di Tarnova, dove fu quasi distrutto, riuscendo tuttavia a sbarrare il passo alle forze nemiche. In seguito le autorità tedesche pretesero da Mussolini che i reparti della Decima fossero ritirati dalla Venezia Giulia, dove si erano verificati scontri anche sanguinosi con i collaborazionisti iugoslavi[87] e con lo stesso gauleiter Rainer. Rimasero solo alcune unità minori che presidiavano le isole del Quarnaro e Trieste.[88] In Istria perciò rimasero solo alcune centinaia di uomini della Decima dislocati in vari presidi a fianco dei reparti tedeschi, perlopiù catturati dai titini durante l'occupazione della Venezia Giulia insieme ai tedeschi e altri soldati della RSI e massacrati nelle tristemente note foibe, o deportati nei campi di prigionia iugoslavi. Gli altri morirono a fianco degli ultimi nuclei di resistenza tedeschi nei combattimenti che divampavano contemporaneamente all'avanzata dei titini verso il Friuli e la Venezia Giulia. Essi, insieme a questi resti dell'esercito tedesco, dovevano resistere per coprire la ritirata del grosso delle truppe tedesche acquartierate nell'Istria e nella Slovenia verso l'Austria. Il caos che sconvolse le truppe tedesche prive di ordini univoci e divise nel tentare di resistere oppure ritirarsi trascinò anche i reparti repubblicani, e fra questi ovviamente quelli della Decima. Gli ultimi focolai di resistenza che proseguirono fino agli inizi di maggio vennero tutti schiacciati dai titini, combattendo oppure - più spesso - promettendo salva la vita in caso di resa. Tra questi ultimi combattimenti, degno di nota quello che si svolse a Pola. Qui, dopo la firma della resa delle ultime truppe tedesche affiancate da alcuni reparti della Decima decimati dalla battaglia alle forze iugoslave l'8 maggio 1945, l'ammiraglio tedesco che aveva firmato la capitolazione venne subito dopo fucilato insieme ad un gruppo di suoi ufficiali, insieme a una decina di ufficiali italiani della Decima Mas[89]. Poco prima dell'occupazione dell'Istria da parte iugoslava, Borghese cercò un'improbabile alleanza con gli Alleati per fronteggiare l'esercito iugoslavo di Tito, che stava rapidamente avanzando: in quei tempi, era viva in molti gerarchi nazisti e fascisti la speranza di arrivare a un armistizio con gli alleati occidentali per poter continuare la guerra contro l'Unione Sovietica e il bolscevismo in generale.[90] Analogamente, fra il settembre ed il dicembre del 1944 furono presi approfonditi contatti con la brigata partigiana Osoppo, al fine di costituire un corpo misto che potesse organizzare una difesa comune di quel fronte, ma il comando inglese a cui faceva riferimento la Osoppo, seppur con qualche tentennamento, rifiutò l'offerta. Poco tempo dopo a Porzûs tutti i principali esponenti della brigata partigiana furono uccisi in quanto accusati di tradimento e per aver dato ospitalità ad una giovane, Elda Turchetti, denunciata come spia da Radio Londra su segnalazione di agenti inglesi, e il tentativo di collaborazione non ebbe séguito. Negli ultimi mesi del conflitto, al fine di difendere l'italianità dell'Istria, Borghese avviò contatti con la Regia Marina al sud (ammiraglio De Courten) per favorire uno sbarco italo-alleato in Istria e salvare le terre orientali dall'avanzata delle forze iugoslave[91]. Lo sbarco studiato dalla marina italiana del Sud si sarebbe avvalso dell'appoggio delle formazioni fasciste e della Decima, con o senza l'intervento Alleato[92]. L'opposizione inglese fece fallire questo piano[93], non volendosi inimicare Stalin dopo l'accordo di Yalta[94] e favorendo così l'avanzata degli iugoslavi, che ebbero peraltro anche l'attivo sostegno della Royal Navy britannica. Comportamento in guerraLe truppe coinvolte nelle operazioni di "grande polizia" o controguerriglia contro le forze partigiane italiane sono state oggetto di numerose critiche. La Xª MAS fu attiva in operazioni di grande polizia nel Monferrato, nelle Langhe, nel Canavese, in Carnia, in Val di Susa e in Val d'Ossola. Gli uomini della Decima si macchiarono di crimini di guerra, come torture, rappresaglie, fucilazioni sommarie. Alcuni appartenenti alla Decima Mas si distinsero anche in azioni di saccheggio e furto a danno della popolazione civile, perseverando nell'abuso della loro autorità tanto da far preoccupare le autorità legittime e non militari: «Continuano con costante preoccupazione le azioni illegali commesse dagli appartenenti alla Xª Mas. Furti, rapine, provocazioni gravi, fermi, perquisizioni, contegni scorretti in pubblico, rappresentano quasi la caratteristica speciale di questi militari. Anche il 12 novembre 1944, tra l'altro, verso le ore 20 quattro di essi si sono presentati in un magazzino di stoffe: dopo aver immobilizzato il custode ne hanno asportato quattro colli per un ingente valore [...]. La cittadinanza, oltre ad essere allarmata per queste continue vessazioni, si domanda come costoro, che dovrebbero essere sottoposti ad una rigida disciplina militare, possano agire impunemente e senza alcuna possibilità di punizione [...]. Sarebbe consigliabile pertanto, che tutto il reparto, comando compreso, sia fatto allontanare da Milano.» Sergio Nesi, ex ufficiale della Xª Mas, sostiene che Borghese e la Decima tennero un comportamento coraggioso ed intrepido di fronte al nemico (ne parla al riguardo delle battaglie sul fronte di Nettuno, sulla Linea Verde, durante l'Operazione Aquila e nella Battaglia di Tarnova)[95] e asserisce che nel complesso le diserzioni della Decima sarebbero state sensibilmente inferiori a quelle registrate in altre forze armate e reparti della RSI.[96] Molte azioni di furto e saccheggio attribuite a reparti della RSI o tedeschi sarebbero, secondo lui, invece da attribuirsi alle numerose bande di criminali comuni che infestavano il territorio, i quali mascherati dietro uniformi della Decima che sarebbero riusciti ad ottenere durante lo sbandamento dell'8 settembre 1943, taglieggiavano la popolazione civile con relativa impunità. Sempre secondo quanto riportato da Nesi, operazioni dello stesso genere - a scopo di propaganda antifascista - sarebbero state condotte, sempre con uniformi della Decima in qualche modo trafugate, da nuclei partigiani (secondo Nesi, nella zona della Liguria e del Cuneense)[97]. Nesi sostiene poi che taluni rapporti di polizia proverrebbero da uffici e comandi repubblicani ostili alla Decima, i quali avrebbero perseguito non lo scopo di riparare i numerosi torti subiti dai civili, ma quello di metterla in cattiva luce presso gli alti comandi nonché lo stesso Mussolini nell'ambito delle feroci lotte per il potere che caratterizzarono la Repubblica Sociale. Questi rapporti sarebbero stati comunque ingigantiti ed esagerati.[98] Infatti, per finanziare la guerra contro gli angloamericani, fu anche impiegato il mercato nero, acquistando armi in Svizzera tramite contrabbando di beni calmierati. Lo stesso prefetto di Milano espresse preoccupazione per le numerose azioni illegali commesse dai fucilieri. Sempre secondo l'ex ufficiale, nei confronti dei tedeschi la Decima non è stata, come sostenuto da altri, servile e collaborazionista, ma avrebbe invece seguito sempre un atteggiamento di furbesco doppiogioco, cercando di sottrarre all'alleato ogni tipo di rifornimento e materiale con ogni mezzo (compresa la corruzione, il furto, l'ubriacatura e l'inganno). Secondo l'ex ufficiale è da inquadrare in quest'ottica anche il pestaggio e l'arresto del gauleiter Friedrich Rainer, episodio che portò all'espulsione quasi totale delle forze di Borghese dalla Venezia Giulia, sottoposte a "zona d'operazione".[99] La fine della guerraVerso la fine della guerra, la Xª MAS di Borghese spostò il suo quartier generale in Piemonte. Il 26 aprile, primo dei tre giorni di insurrezione che portarono alla Liberazione, Borghese sciolse la Decima presso la caserma di piazzale Fiume (odierna piazza della Repubblica) a Milano. I vari reparti della Decima seguirono invece diversi destini, a seconda del luogo e del nemico a cui si arresero[4][5][100].
I caduti accertati in operazioni belliche e di controguerriglia della Decima assommano a oltre 600. A questi vanno aggiunti gli uomini uccisi sommariamente al termine delle ostilità dopo aver ceduto le armi, in numero non precisato (si ricorda, ad esempio, l'eccidio di Valdobbiadene dei Nuotatori Paracadutisti della Decima, NP, nel maggio del 1945, ove furono trucidati 50 prigionieri di guerra). IdeologiaLa Decima ebbe a Milano un proprio ufficio stampa e propaganda, da cui, a partire dall'estate 1944, uscì un quindicinale chiamato "La Cambusa", distribuito a tutti i reparti[102]. Con autorizzazione concessa dal ministero della cultura popolare (firmata dal capo di gabinetto Giorgio Almirante per conto del ministro Ferdinando Mezzasoma) in data 29 gennaio 1945, il periodico cambiò nome in "L'Orizzonte" e divenne un settimanale, il cui collaboratore più importante fu l'ex direttore del "Messaggero" Bruno Spampanato. Lo storico Ricciotti Lazzero definisce il giornale «un clamoroso tentativo del comandante Borghese di usare la sua posizione e i suoi mezzi di propaganda per sgusciar fuori da quella gabbia [...] in cui vogliono rinchiuderlo i gerarchi di Salò, con il maresciallo Graziani in testa»[103]. Il primo numero de "L'Orizzonte", datato 29 gennaio 1945, riporta fra l'altro in prima pagina l'inizio di un articolo di Giovanni Preziosi dai toni violentemente antisemiti[104], e una vignetta d'ispirazione razzista una cui didascalia recita: «Una legge del governo Bonomi permette nell'Italia invasa i matrimoni tra italiane e gente di colore»[105]. L'articolo di fondo, non firmato, asserisce fra l'altro che per «ventun anni il popolo ha aderito nella sua assoluta maggioranza al regime fascista», che degli «errori e dei difetti del regime [...] non il popolo fu colpevole», che «il sabotaggio della guerra colpì esclusivamente il popolo nelle sue masse di soldati e di lavoratori, estraneo alle oscure manovre dei circoli monarchici e militari e del mondo capitalistico-reazionario» e che «le masse popolari restano tuttavia al centro degli avvenimenti italiani». Dopo aver affermato che «c'è il Capo. È Benito Mussolini» e che «solo Mussolini può ricondurre su un'unica strada e riassumere in una costruttiva sintesi politica e sociale gl'impulsi più diversi e le più contrastanti tendenze», l'articolo conclude dicendo che il titolo del giornale vuole «significare l'orizzonte su cui cercheremo di raffigurare i fatti e le idee del momento [...] come li vedono quanti combattono perché i fatti si determinino secondo l'interesse italiano e le idee abbiano per unica sigla l'italianità»[106]. Lazzero commenta scrivendo che nell'articolo, «dietro un frasario ambiguo e a doppio senso, molto abile, l'unico ammesso in quel periodo, s'intuisce lo sforzo di far capire a qualcuno che le cose stanno cambiando»[107]. Per Lazzero il messaggio di Borghese «supera le barriere fasciste e prepara, guardando all'orizzonte, ciò che sta per arrivare»; Lazzero definisce "L'Orizzonte" un giornale «di opinione» che «accanto alla solita retorica con le solite professioni di fedeltà al duce [...] allinea propositi e obiettivi che non possono non dare fastidio a chi è abituato, come i gerarchi di Salò, a gestire con potere completo l'ammasso dei cervelli»[108]. Lo storico Claudio Pavone definisce la Decima «un reparto fascista dei più feroci che pretendeva di sfuggire alla disperazione dei proscritti ostentando movenze di aristocratica eleganza mutuate dal suo comandante, il principe Junio Valerio Borghese»[109]. Secondo lo storico Renzo De Felice, Borghese non era «un fascista in senso proprio»[110] e anzi, contrariamente «a ciò che si potrebbe credere e a quanto affermato nel dopoguerra dalla pubblicistica neofascista, la X Mas, pur costituendo per così dire il fiore all'occhiello delle forze armate repubblicane, e il suo comandante erano stati subito guardati con sospetto e persino con ostilità dall'establishment politico-militare repubblicano»[111]. Sempre secondo De Felice, in Borghese ci fu una «pressoché totale assenza [...] di un'ideologia che non fosse un radicale e radicato nazionalismo»[112], e la ragione che lo indusse a schierarsi con Mussolini «fu la difesa dell'intangibilità del territorio nazionale e soprattutto l'idea di restituire all'Italia l'onore nazionale perduto col "tradimento" dell'8 settembre»[113]. In diretta polemica con De Felice, lo storico Aurelio Lepre contesta l'affermazione che Borghese non fosse fascista citando le parole dello stesso Borghese: «Dai miei atteggiamenti politici, dalla mia attività, dalla mia ammirazione per Mussolini, potrei essere definito fascista. Dalla mia indipendenza rispetto alle costrizioni del partito, dal mio rifuggire le forme esteriori del partito, i suoi orpelli, la sua retorica, fui considerato un non-allineato[114].» Commenta Lepre: «Fascista, dunque, anche se non sempre allineato, come lo furono moltissimi altri, persino Bottai. Il quale, però, non credette nella RSI, come fece invece Borghese»[115]. Quanto all'asserzione di De Felice secondo cui Borghese si schierò con Mussolini per difendere l'intangibilità del territorio nazionale, Lepre afferma che quando Borghese stipulò il suo accordo con i tedeschi, il 14 settembre 1943, «non esisteva nessuna minaccia all'integrità del territorio italiano né da parte degli angloamericani né da parte dei partigiani di Tito (questa sarebbe venuta in seguito)», e che quando Borghese si recò a Berlino il 28 settembre 1943 per incontrare Dönitz tale incontro «costituiva già di per sé un attentato all'integrità nazionale, così come poteva essere intesa dai fascisti, perché minava l'autorità del governo della repubblica presso i tedeschi, indebolendone la capacità di resistere alle loro richieste territoriali»[116]. Lepre ne conclude che «la motivazione della difesa dell'integrità del territorio nazionale è insostenibile»[117]. Secondo Lepre, «c'è una sola motivazione che rende comprensibile la scelta di schierarsi immediatamente con i tedeschi ed è quella dell'anticomunismo. Data l'alleanza tra le democrazie occidentali e l'Unione Sovietica, la Germania di Hitler appariva in Europa l'unico vero bastione contro il comunismo. E non c'è dubbio che Borghese sia sempre stato decisamente anticomunista»[118]. Massimiliano Capra Casadio dedica alcune pagine della sua monografia sulla Decima alla «analisi della scelta e delle motivazioni ideologiche di Borghese»[119]. Capra Casadio cita varie testimonianze rese dallo stesso Borghese nel dopoguerra[120], ove Borghese fra l'altro «afferma che la sua primissima decisione fu determinata dal rispetto dell'etica militare e dalle responsabilità che sentiva di avere come ufficiale»[121]. Continua lo storico osservando che la «scelta di Borghese di seguitare a combattere dalla parte dei tedeschi nacque [...] per opposizione alle vicende dell'8 settembre da lui ritenute particolarmente deplorevoli, come la fuga della Casa Reale, del governo e degli Stati Maggiori, le modalità di comunicazione dell'armistizio o il tradimento delle alleanze che avrebbero macchiato per sempre l'onore militare dell'Italia»[122]. Tale decisione di Borghese «era dunque motivata dal desiderio di combattere per restituire all'Italia l'onore nazionale ritenuto perduto. [...] Oltretutto fu fondamentale anche l'inossidabile identificazione del nemico con gli anglo-americani [...] che dal luglio del 1943 avevano iniziato l'invasione del "suolo della Patria", motivo per il quale era necessario difendere con ogni forza l'intangibilità del territorio nazionale»[123]. Capra Casadio tuttavia afferma che per «comprendere appieno la scelta di Borghese, al di là delle contingenze determinate dai fatti dell'armistizio, si devono comunque considerare anche le sue posizioni ideologiche pregresse, le credenze, i valori, i miti, le aspirazioni, i contenuti e i caratteri generali su cui si era formata la sua visione delle cose, elementi che costituiscono il retaggio politico e culturale su cui si basarono necessariamente le sue decisioni»[124]. Al riguardo lo storico osserva che nei valori e nell'ideologia di Borghese si possono rilevare «un militarismo e un nazionalismo quasi totalizzanti» e afferma che tali fattori ideologici «non potevano non derivare, oltre che dalla sua professione e dall'ambiente aristocratico dal quale Borghese proveniva, dalla cultura propagandata e sostenuta dal regime per tutto il Ventennio. Una propaganda che era appunto indirizzata a temprare il popolo italiano per fare di ogni cittadino un individuo votato totalitariamente al sacrificio per lo Stato e la nazione, e che aveva eretto a virtù la violenza, l'azione, il gesto supremo o la propensione al combattimento, per farne degli strumenti di potenza che si dovevano incanalare verso l'esterno, attraverso le guerre coloniali e d'aggressione, simbolo della volontà d'impero dell'Italia»[125]. Secondo Capra Casadio, inoltre, Borghese approvava le motivazioni di Mussolini nel partecipare alla guerra mondiale, considerava quest'ultima «una lotta di civiltà che coinvolgeva le stesse radici storiche dell'Europa» e concepiva tale guerra come un'opposizione fra la tradizione spiritualista europea e le «nuove ideologie materialiste» rappresentate sia dal capitalismo americano sia dal comunismo sovietico, finendo per questa via anche «per abbracciare la dimensione razziale del conflitto»[126]. Per lo storico inoltre è stata «determinante, nella scelta di Borghese, la sua posizione anticomunista che erigeva l'Europa nazi-fascista a bastione difensivo contro l'invasione della marea bolscevica», essendo l'anticomunismo di Borghese filtrato «dalle sue concezioni nazionaliste» in base alle quali il comunismo «s'identificava totalmente nelle mire egemoniche e imperiali dell'URSS di Stalin e nelle pretese territoriali della Jugoslavia di Tito sulle zone orientali italiane». Da tale analisi Capra Casadio evince «che l'idea di Patria di Borghese si riconosceva senza mezzi termini nella patria fascista, o almeno in determinati valori che erano stati propagandati ed esasperati dal regime, come le aspirazioni di potenza, un nazionalismo particolarmente aggressivo o l'anticomunismo»[127]. Afferma ancora lo storico: «La decisione di Borghese, perciò, dimostra come la sua idea di patria, al contrario di ciò che avvenne nella coscienza di tanti altri militari come lui, non crollò nel momento decisivo del trauma dell'8 settembre, anzi, proprio il patriottismo costituì uno dei motivi fondamentali della sua scelta. Tuttavia, si deve anche considerare che questa concezione della patria era basata essenzialmente su valori politici tramandati dall'ideologia fascista e che, malgrado la professata apoliticità delle sue scelte e dei suoi comportamenti, essa finiva per coincidere con il modello politico totalizzante costituito dal fascismo stesso[128].» Lo storico Mimmo Franzinelli rileva che la pubblicistica della Decima rivendicava l'indipendenza del corpo, «con pochi accenni al duce», mentre sui giornali legati a Borghese prevaleva l'autoesaltazione della formazione, la condanna del disfattismo e della diserzione, l'apologia della "bella morte"; tuttavia - continua Franzinelli - «il 6 ottobre 1943 Borghese [...] illustra a Mussolini [...] la propria strategia, ed è incoraggiato a proseguire nel riarmo del suo gruppo, puntando a un successo militare che consoliderebbe la Repubblica quantomeno sul piano dell'immagine. Seguiranno, sulla falsariga di questo incontro, altre udienze». Quanto a Borghese, Franzinelli osserva come egli vantasse il suo status di militare, «ma scelte di fondo e posizionamento dei reparti hanno un contenuto altamente politico». Una serie di tensioni con l'apparato militare della RSI condusse, il 13 gennaio 1944, all'arresto di Borghese che venne tenuto in reclusione per dodici giorni, finché le pressioni dei suoi seguaci e dei tedeschi portarono alla sua liberazione; dopodiché la Decima rafforzò i suoi legami con l'occupante tedesco, che culminarono con il riconoscimento a Borghese da parte del generale Wolff (su incarico di Hitler) della Croce di Ferro di I classe, «a riconoscimento di un anno di fedele fiancheggiamento»[129]. I reparti navaliReparti di naviglio sottile della Decima furono impiegati contro le forze di sbarco e di rifornimento angloamericane. Impiegati quasi esclusivamente MAS e motoscafi veloci modificati in siluranti, gli MTM. I reparti navali erano di stanza a Genova (Comando Tirreno) insieme agli "uomini Gamma" (sommozzatori), mentre la 1ª e 2ª squadriglia MAS erano di stanza a La Spezia. Il "Comando Tirreno" alla fine della guerra prese contatti con il locale CLN, prendendo efficaci contromisure a contrasto dell'opera dei guastatori tedeschi che intendevano far saltare in aria le installazioni portuali. I sommozzatori del reparto disarmarono le 80 cariche di demolizione predisposte dai germanici e autoaffondarono le loro unità MAS e VAS e si consegnarono ai partigiani.[130] Struttura della XªRegolamento della Decima
Comando
Divisione fanteria di marina Xª
Reparti di mare
Le rivisteLa prima rivista[133] pubblicata dalla Xª MAS fu l'effimera "Xª per l'Onore", uscita in un solo numero di due pagine il 20 febbraio 1944, seguita poco dopo da "La Cambusa", nata presso la caserma di Muggiano alla Spezia, il cui primo numero, di sole 4 pagine, venne pubblicato il 15 maggio 1944. Dopo i danni subiti delle installazioni di La Spezia a causa dei bombardamenti alleati il Comando della Xª fu trasferito a Milano in Piazza Fiume e con esso anche l'ufficio stampa e propaganda. Il distaccamento milanese era all'epoca comandato dal capitano Gennaro Riccio. Si occupò della rivista la volontaria Pasca Piredda, affiancata da diversi corrispondenti di guerra come Ugo Franzolin. Presto nacquero problemi con l'ufficio stampa tedesco del tenente Schaffer che pretese di imporre la censura ma la Decima, forte degli accordi direttamente intercorsi con il comandante tedesco Berninghaus riuscì ad evitare ogni ingerenza. Il 9 dicembre 1944 Pasca Piredda ebbe un grave incidente stradale che la costrinse a una lunga degenza. Nel frattempo il suo ufficio fu affidato al tenente di vascello Mario Ducci e in seguito al giornalista Bruno Spampanato. La frequenza, che doveva essere settimanale, fu in realtà abbastanza irregolare (l'ottavo numero uscì solo il 10 ottobre 1944) ma aumentò nel tempo il numero delle pagine, che negli ultimi numeri arrivò a 16, comprese le due di copertina a colori. Nel gennaio 1945 "La Cambusa" venne sostituita da "L'Orizzonte" il cui primo numero (20 gennaio 1945), con 12 pagine compreso un inserto fotografico a colori, attirò le ire del Ministero della cultura popolare che a causa della carenza di carta aveva autorizzato una pubblicazione di solo 10 pagine e ordinò che dal secondo numero il numero di pagine fosse ridotto a 6. Ordine disatteso, tanto che sia il secondo numero (5 febbraio 1945) che il terzo ed ultimo numero (12 febbraio 1945) uscirono su 8 pagine, venendo distribuiti per le strade e in alcune edicole presidiate da militi della Xª MAS. "L'Orizzonte", sottotitolato "Settimanale di Attualità", assunse rispetto alla precedente rivista un taglio più politico affrontando argomenti che precedentemente erano stati lasciati ai margini. La questione dell'antisemitismo fu affrontata dall'Ispettore generale per la razza Giovanni Preziosi, che iniziò a scrivere articoli fortemente antisemiti, in cui propugnava la teoria del complotto giudaico: "È storicamente dimostrato che l'attuale guerra fu voluta, attuata e preparata dal giudaismo, che ha avuto come strumento principale la massoneria..." Numerose furono anche le riviste pubblicate dai singoli reparti della Xª, tra cui "Cose Nostre" del Servizio Ausiliario Femminile, "Xª Barbarigo" dell'omonimo battaglione, "Franchigia" del Battaglione Nuotatori Paracadusti e "Il Risoluto" del Battaglione "Risoluti" di Genova[134] DecorazioniUn totale di almeno 466 militi della Xª Flottiglia MAS della Marina Repubblicana furono insigniti di decorazioni al Valore Militare della Repubblica Sociale Italiana[N 52]. Tra di loro:
Riferimenti postali storiciAl Comando X Flottiglia Mas venne assegnata[137]: Fp. 80015 (dal 4.5.1944) e la Fp 81200 (dal 5.3.1945); a La Spezia PdC.781; a Milano PdC.795; a Lonato (BS) PdC.755. Note
Bibliografia
Voci correlate
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