Cari genitori (film)
Cari genitori è un film del 1973 diretto da Enrico Maria Salerno. TramaGiulia, una signora dell'alta borghesia italiana, va a Londra alla ricerca della figlia diciottenne Antonia, di cui non ha più notizie da mesi; rintracciando la giovane, incappa in Madò, amica di Antonia, che la aiuta a cercarla. La trovano in un teatro d'avanguardia dove confessa pubblicamente di avere abortito. Dopo diversi e accesi scontri generazionali, Antonia ribadisce la sua intenzione di vivere una vita totalmente libera lontana dai genitori e dalla loro casa. Dopo aver scoperto che lei e Madò hanno vissuto una relazione saffica, Giulia decide di tornare in Italia da sola. Produzione«La trama è un tenue pretesto per esprimere soprattutto una convinzione: siamo alla fine di un vecchio mondo, prossimo a vedere la chiusura di un'era e l'inizio di un'altra. La nuova era è dei giovani, che dopo il diluvio partiranno con una nuova arca. Bisogna lasciarli andare, noi genitori non dobbiamo far loro un ricatto familiare. Il mondo deve per forza cambiare, tutto lo fa presagire. Deve trasformarsi, diventare necessariamente migliore. E il futuro è dei nostri figli o forse dei loro.[1]» L'attrice Maria Schneider venne segnalata a Salerno da Bernardo Bertolucci durante la fase di montaggio di Ultimo tango a Parigi. Salerno vide alcune sequenze e gli sembrò subito l'attrice giusta per la parte di Antonia.[2] Le riprese si sono svolte in gran parte nelle strade di Londra; il complesso vittoriano della comunità gestita dalla signora Ward si trova vicino al quartiere londinese di Richmond upon Thames. DistribuzioneVenne distribuito al cinema il 9 febbraio 1973. AccoglienzaCritica«Troppo semplice, si è tentati di dire. Con un ottimismo che sfiora la fatuità, Salerno riduce tutto a un problema di comprensione, di apertura mentale; e, a quanto pare, non lo punge il sospetto che, dietro la rivolta del giovani, vi siano lacerazioni non soltanto esistenziali, ma sociali e di classe. Del resto, quegli agghindati ecologi che il regista ci mostra («carpentieri di una nuova Arca», ahinoi), quegli attori-testimoni il cui happening sull'aborto ci ricorda piuttosto i cori degli spettacoli classici a Ostia antica che le creazioni delle scene sperimentali europee, quella stessa Antonia e i suoi compagni non sembrano destinati ad allarmare nessuna autorità, anzi rientrano perfettamente in un nuovo (forse ultimo, almeno lo speriamo) sogno paternalistico. Una certa pulizia e destrezza nella composizione delle inquadrature (la fotografia a colori è di Dario Di Palma) attenua in modesta misura il peso dei dialoghi grossolanamente letterari, e d'una formula narrativa alquanto trita. [...]» «[...] Così pulsante di sincerità, così meditato (qualche anno di lavoro), così scevro del benché minimo compromesso pornografico, avviene che Cari genitori giunge sullo schermo un poco fievole e rimasticato, quasi che sia ormai impossibile evocare corpi collettizi di giovani contestatari senza dare nelle pareti d'una specie di accademia. Giustizia ha voluto che il personaggio meglio espresso sia anche il meno problematico anzi «borghese» affatto: quello della signora Giulia Bonanni. [...] Non si nega che davanti a certi quadri famigliari, i figli facciano benissimo a dileguarsi; ma questo non ci sembrava uno di quei casi. E appunto il non voler mai dimenticare il problema per la situazione individuale, fa sì che i film anche più sofferti cadano spesso uguali l'uno sull'altro. Forse Anonimo veneziano resterà un «unicum», forse Salerno non ha reni per continuare a fare il regista. Ma ciò non toglie che Cari genitori, pur con le gravi riserve che si son fatte, non sia un film sincero, pulito, commosso. E se Londra non vi è così impermutabile com'era invece Venezia nell'altro film, ma è anzi un anonimo ricetto di giovani réfugiés d'ogni parte del mondo ipocrito, in questa sua non facile «scaratterizzazione» è appunto l'inedito.» «[...] Nonostante il fervore dell'artefice, la trattazione dell'arduo tema appare sovente fragile e superficiale, sia per gli aspetti un poco irrazionali del caso proposto, sia per il semplicismo non soltanto psicologico con cui il drammatico contrasto si spegne nella soluzione. Questo, con l'aggravante d'una certa retorica letteraria nei dialoghi, posti al servizio d'un copione, tutto sommato, non perspicuo. In ordine di merito, le interpreti sono la Bolkan (Giulia), Marie Schneider (Antonia) e Catherine Spaak in una figuretta imprecisa di ambigua introversa, morbosamente amica della giovane ribelle.» «Una materia importante e incandescente (per quegli anni) come il drastico scontro generazionale in atto, la messa in discussione di tutti i valori, la crisi irreparabile dell'istituzione famigliare, viene affrontata in maniera generica e (conseguentemente) fuorviante, con la superficialità irritante dell'instant-movie di costume. E oggi quei difetti rendono il film anche ridicolo.» RiconoscimentiNote
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