DinarIl dīnār (in arabo ﺩ ﻳﻨﺎﺭ?) aureo islamico (pl. danānīr ) o dinaro d'oro fu una moneta con una lunga storia durata per 13 secoli, coniata fin dall'età omayyade fino al crollo dell'Impero Ottomano nel 1923, del peso di 4,25 grammi di oro a 22 carati[senza fonte]. Nell'immaginario collettivo musulmano il dinaro d'oro rappresenta un mito per la sua lunga storia. In tempi recenti vi sono stati tentativi di reintroduzione come alternativa al sistema economico attuale: nel 2001 la Malesia propone di introdurlo come valuta di riferimento nelle banche centrali islamiche, progetto contrastato dal Fondo monetario internazionale, nel 2009 Gheddafi è promotore del suo utilizzo come moneta unica panafricana, nel 2014 lo Stato Islamico tenta di reintrodurlo nei territori sotto il suo controllo. Valore attualeIl valore della moneta sarebbe, in base al quantitativo d'oro contenuto, equivalente a 159,298925 €, se assumiamo il valore dell'oro a 22 carati a 1411 dollari americani per oncia. Nonostante questo, la grande scarsezza d'oro dell'Età Media farebbe aumentare notevolmente il suo valore in termini di potere d'acquisto. Dīnār storicoSecondo le disposizioni islamiche il dīnār doveva pesare esattamente 4,25 grammi d'oro a 22 carati, con un titolo aureo cioè pari a 0,917. Sulla scorta del valore del dīnār, il dirham argenteo doveva essere di 2,97 grammi di argento puro. La realtà è che, per tutta la prima epoca califfale, la Umma islamica non batteva monete e ci si contentava per gli scambi economici di usare le monete coniate dai Bizantini e dai Sasanidi oltre alle monete a suo tempo coniate dagli Himyariti, i neo-Sabei cioè, che reggevano le contrade meridionali della Penisola Arabica. Il vero artefice della monetazione islamica fu il califfo omayyade ʿAbd al-Malik ibn Marwān che dette un formidabile impulso alla riforma della sua amministrazione, ordinando tra l'altro il conio d'una moneta "nazionale".
Come riferimento, non a caso, fu presa la moneta aurea bizantina del δηνάριον (lat. denarius), diventato equivalente del νόμισμα χρυσοῦν (denarius aureus), e quella argentea persiana-sasanide della drahm (termine che i Persiani, a loro volta, avevano desunto dal greco drakmé). Una moneta di rame di minor conto, il fals, non fu altro che l'adattamento del bizantino follis. Il valore del dīnār rimase identico fino al X secolo, malgrado oscillazioni dipendenti dalla situazione economica delle singole aree islamiche. In Africa del Nord e in al-Andalus fu battuto anche il mezzo dīnār e il terzo di dīnār e in queste stesse aree, specie sotto la dominazione dei Fatimidi, a dimostrazione d'una crisi dell'oro, si crearono e usarono monete vitree, mentre i loro predecessori Aghlabidi avevano coniato il quarto di dīnār (rubʿ), introdotto anche in Sicilia, in cui però esso fu chiamato tarì (lett. "fresco" [di conio]). Stato IslamicoNel novembre 2014 lo Stato Islamico (SI) ha annunciato su Internet la restaurazione del classico dīnār nei territori sotto il controllo del "Califfato" da esso proclamato in parti dell'Iraq occidentale e della Siria orientale.[1][2] Da notare però che il classico dīnār era in oro, mentre la moneta argentea era il dirham, di forma e peso differenti dalle immagini mostrate sul Web e che, alla prima decade di dicembre del 2014, nessuna moneta dell'autoproclamato "Califfato" è mai stata verificata e saggiata concretamente. NoteVoci correlateAltri progetti
Collegamenti esterni
|