IndultoL'indulto consiste in un provvedimento generale che causa l'estinzione della pena. L'indulto è ispirato, in origine, a ragioni di opportunità politica e pacificazione sociale. Nell'ordinamento italianoL'indulto è previsto nell'ordinamento italiano dall'art. 79 della Costituzione e dell'art. 174 del Codice penale. In senso proprio, è un provvedimento con il quale il Parlamento condona o commuta parte della pena per i reati commessi prima della presentazione del disegno di legge di indulto. La Costituzione richiede una maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, per l'approvazione della legge di concessione dell'indulto. La legge di concessione dell'indulto non può essere oggetto di referendum abrogativo, come previsto dall'art. 75 comma 2 della Costituzione. Per l'applicazione dell'indulto è competente il giudice dell'esecuzione, il quale procede senza formalità, secondo la procedura de plano prevista anche per l'amnistia. L'indulto è un provvedimento di indulgenza a carattere generale e si differenzia dall'amnistia perché si limita ad estinguere in tutto o in parte la pena principale, che viene in tutto o in parte condonata oppure commutata in altra specie di pena consentita dalla legge e pertanto non estingue le pene accessorie, salvo che la legge di concessione non disponga diversamente e, a maggior ragione, lascia sussistere gli altri effetti penali della condanna, mentre l'amnistia estingue il reato. Può essere condizionato, e spesso è appunto condizionato al non commettere altri reati in un periodo, anche abbastanza lungo, immediatamente successivo, pena la revoca del beneficio. Diversamente dalla grazia, che è un provvedimento individuale, l'indulto è un istituto di carattere generale e si riferisce a tutti i condannati che si trovino in determinate condizioni di pena. Prima della riforma dell'articolo 79 della Costituzione operata dalla legge costituzionale 6 marzo 1992, n. 1[1], i provvedimenti di indulto venivano concessi dal Presidente della repubblica su delega del Parlamento. L'indulto del 2006Il 29 luglio 2006 il Parlamento ha approvato con un'ampia maggioranza trasversale[2] la legge 241/2006 che ha introdotto un provvedimento di indulto per i reati commessi fino al 2 maggio dello stesso anno. In particolare è stato concesso un indulto non superiore ai tre anni per le pene detentive e fino a 10.000 euro per le pene pecuniarie. Sono peraltro esclusi dal beneficio i reati in materia di terrorismo (compresa l'associazione eversiva), strage, banda armata, schiavitù, prostituzione minorile, pedo-pornografia, tratta di persone, violenza sessuale, sequestro di persona, riciclaggio, produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, usura e quelli concernenti la mafia. La legge stabilisce anche che l'indulto non si applica alle pene accessorie, come l'interdizione dai pubblici uffici. È prevista inoltre la revoca del beneficio in caso di commissione, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge, di un delitto non colposo per il quale si riporti una condanna a pena detentiva non inferiore a due anni. Papa Giovanni Paolo II, incontrando i due rami delle Camere in seduta congiunta nel corso della XIV Legislatura, aveva chiesto in modo accorato ai parlamentari un "segno di clemenza". CriticheLa votazione sull'indulto, pur avendo raccolto una maggioranza trasversale molto ampia, è stata accompagnata da polemiche e critiche, all'interno e fuori dalle sedi della politica: in particolare, le controversie riguardano l'ampiezza del provvedimento che ha riguardato anche reati gravi (ad es. l'omicidio volontario) ma non alcuni reati minori e le accuse di aver strumentalizzato l'appello di Giovanni Paolo II. Queste ultime risultano, tuttavia, inconsistenti, dato che lo stesso Giovanni Paolo II, nel discorso tenuto in un Parlamento riunito in seduta comune, il 14 novembre del 2002, ha esplicitamente affermato che «merita attenzione la situazione delle carceri, nelle quali i detenuti vivono spesso in condizioni di penoso sovraffollamento. Un segno di clemenza verso di loro mediante una riduzione della pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità, che non mancherebbe di stimolarne l'impegno di personale ricupero in vista di un positivo reinserimento nella società»[3]. Inoltre, all'indomani dell'approvazione dell'indulto, il Vaticano ha espresso «Grande soddisfazione» per mezzo del cardinale Renato Raffaele Martino, presidente della Pontificia Commissione Giustizia e Pace[4] Il Csm cinque mesi dopo l'approvazione della legge denunciò che il provvedimento di indulto, azzerando la pena senza estinguere il reato, rendeva comunque necessario il completamento dell'iter processuale, distogliendo le risorse degli uffici giudiziari da altri processi sui quali non di rado gravano concreti rischi di prescrizione[5][6]. Inoltre, alcuni commentatori[senza fonte] hanno stigmatizzato l'indebolimento del principio di certezza del diritto che instillerebbe una maggiore propensione a compiere attività criminose. Tuttavia, va precisato che l'indulto non copre i reati compiuti dopo la promulgazione della legge, i quali sono quindi soggetti alla pena completa e anzi comportano la revoca dell'eventuale beneficio avuto. Nonostante ciò, i primi studi quantitativi sugli effetti dell'indulto hanno rilevato dati positivi. Secondo il resoconto della situazione carceraria pre e post-indulto[7] pubblicato dal Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria, nei primi 5 mesi il tasso di recidiva (ossia la percentuale di persone che commettono un altro reato e tornano in carcere) è stato dell'12,9%, contro una media superiore al 30% nei precedenti provvedimenti di indulto. Inoltre il tasso di recidiva è stato più alto tra i cittadini italiani che tra gli immigrati, e tra questi ultimi l'89% dei recidivi hanno avuto la revoca del beneficio per reati legati esclusivamente all'immigrazione clandestina[8]. Altre analisi tuttavia smentiscono l'ottimismo dei resoconti del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria e mostrano il repentino aumento di alcune tipologie di reati, tra le quali le rapine in banca, nei mesi successivi alla concessione del provvedimento di clemenza[9]. A ottobre 2007 il Capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Ettore Ferrara, affermò che entro la prima metà del 2009, se non fosse accaduto qualche fatto nuovo e senza interventi strutturali, avrebbe potuto ripresentarsi la situazione di sovraffollamento carcerario precedente l'indulto, così come in effetti è stato[10]. I provvedimenti di indulto concessi in Italia dal 1º gennaio 1942 ad oggi
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