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Macua

Macua
Madre e bambino macua in Mozambico
 
Nomi alternativiMakua, Makhuwa, waMakua
Popolazione~9 000 000
LinguaMacua
ReligioneCristianesimo, Islam, religioni tradizionali africane
Gruppi correlatiLomwe, Chewa, Yao
Distribuzione
Mozambico (bandiera) Mozambico8 400 000[1][2]
Tanzania (bandiera) Tanzania753 000[3]
Comore (bandiera) Comore28 000[4]
Sudafrica (bandiera) Sudafrica18 000[5]

I macua,[6] scritto anche makua o makhuwa, sono il gruppo etnico più numeroso del Mozambico, dove rappresentano circa il 26% della popolazione.[1] Risiedono nel nord del paese, specialmente nella regione di Nampula nonché in quelle di Niassa, Cabo Delgado e Zambezia, ma anche nella Tanzania meridionale, nella regione di Mtwara. La lingua macua appartiene al gruppo bantu, ed è divisa in diversi dialetti solo parzialmente intelligibili.

Apparteneva al popolo macua Yasuke, probabilmente il primo nero a giungere in Giappone ed il primo straniero a divenire samurai.[7]

Storia

Distribuzione approssimativa dei macua nell'Africa meridionale.

Nella tradizione orale dei macua, il primo uomo e la prima donna nacquero sul monte Namuli, mentre le altre creature viventi provenivano dalle montagne vicine.[8] Gli studiosi non sono sicuri di questa provenienza originaria dei macua, tuttavia concordano sul fatto che siano stabiliti nella regione settentrionale del Mozambico dal I millennio d.C.

I macua hanno una storia documentata nella lavorazione dei metalli e nella produzione di utensili. Il naturalista portoghese dell'epoca coloniale, Manuel Galvao da Silva, ad esempio, descrisse le loro miniere di ferro.[9] Allo stesso modo, l'esploratore francese Eugene de Froberville ha descritto i loro metodi di produzione del ferro, che estraevano lavorando il minerale in un focolare a legna. Il metallo estratto veniva poi trasformato in asce, coltelli, lance, anelli e altri oggetti.[9] Documenti di epoca medievale suggeriscono anche che il popolo macua si dedicasse al commercio, facendo affari con i mercanti swahili e gujarati prima dell'inizio dell'era coloniale,[10] scambiando derrate alimentari, zanne d'avorio e manufatti in metallo con tessuti, sale e altri prodotti.[11]

Donna macua con la tradizionale maschera di pasta bianca musiro o n'siro

I macua furono pesantemente coinvolti dalla tratta degli schiavi che ebbe luogo nell'Oceano indiano tra il XVI e il XIX secolo. Inizialmente subirono le catture soprattutto da parte del vicino popolo degli yao, che compiva incursioni tra i macua per soddisfare la richiesta di schiavi degli arabi swahili concentrati intorno a Zanzibar,[12][13] ma dal XIX secolo, con la richiesta notevolmente aumentata soprattutto da parte degli europei, gli stessi capi macua si unirono al lucroso commercio diventando fornitori di schiavi e razziando i gruppi etnici vicini.[14] Le esportazioni di schiavi macua hanno portato alla presenza dei loro discendenti in molte aree del mondo, tra cui le isole dell'Oceano Indiano come Mayotte, Comore, Seychelles, La Riunione e Mauritius, ma anche in luoghi più remoti come i Caraibi e il Nordamerica.[15][16][17]

Note

  1. ^ a b Mozambique, su cia.gov, 18 gennaio 2022. URL consultato il 31 gennaio 2025.
  2. ^ Country: Mozambique, su joshuaproject.net. URL consultato il 31 gennaio 2025.
  3. ^ Makua, Makhuwa-Meetto in Tanzania, su joshuaproject.net. URL consultato il 31 gennaio 2025.
  4. ^ Country: Comoros, su joshuaproject.net. URL consultato il 31 gennaio 2025.
  5. ^ Makhuwa in South Africa, su joshuaproject.net. URL consultato il 31 gennaio 2025.
  6. ^ Macua, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 1º febbraio 2025.
  7. ^ Yasuke: le premier samouraï étranger était africain, su Rfi.fr. URL consultato il 10 aprile 2018.
  8. ^ M. D. D. Newitt, A History of Mozambique, Indiana University Press, 1995, pp. 62–65, ISBN 0-253-34006-3.
  9. ^ a b Edward A. Alpers, Ivory and Slaves: Changing Pattern of International Trade in East Central Africa to the Later Nineteenth Century, University of California Press, 1975, pp. 10–11, ISBN 978-0-520-02689-6.
  10. ^ Andrew Dalby, Dictionary of Languages: The Definitive Reference to More Than 400 Languages, Columbia University Press, 1998, pp. 386–387, ISBN 978-0-231-11568-1.
  11. ^ M. D. D. Newitt, A History of Mozambique, Indiana University Press, 1995, pp. 177–178, ISBN 0-253-34006-3.
  12. ^ Louis Brenner, Muslim Identity and Social Change in Sub-Saharan Africa, Indiana University Press, 1993, pp. 81–82, ISBN 0-253-31271-X.
  13. ^ Bethwell A. Ogot, Africa from the Sixteenth to the Eighteenth Century, University of California Press, 1992, pp. 771–775, ISBN 978-0-435-94811-5.
  14. ^ J. F. Ade Ajayi, UNESCO General History of Africa, Vol. VI: Africa in the Nineteenth Century Until the 1880s, University of California Press, 1989, pp. 185–189, ISBN 978-0-520-03917-9.
  15. ^ Edward A. Alpers, Ivory and Slaves: Changing Pattern of International Trade in East Central Africa to the Later Nineteenth Century, University of California Press, 1975, pp. 95, 257 e nota 73, ISBN 978-0-520-02689-6.
  16. ^ Godfrey Mwakikagile, Africa at the End of the Twentieth Century: What Lies Ahead, New Africa Press, 2013, p. 136, ISBN 978-9987-16-030-3.
  17. ^ Celeste Ray, The New Encyclopedia of Southern Culture: Volume 6: Ethnicity, University of North Carolina Press, 2014, p. 64, ISBN 978-1-4696-1658-2.

Voci correlate

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