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Razionalismo critico

Razionalismo critico è un'espressione coniata dal filosofo austriaco Karl Popper ed indica la convinzione che la ragione, in materia di conoscenze empiriche, non può avere una funzione rigorosamente dimostrativa, ma unicamente un compito critico.

Modello della conoscenza fondato sull'errore, articolato in tre passaggi: Problema, Congettura, Contraddizione.[1]

Descrizione

Secondo Popper, la ragione non legittima la verità di una teoria, ma va impiegata per criticare la teoria stessa. Sulla base del principio di falsificabilità, che afferma che una teoria è scientifica solo se sottoponibile ad un controllo in grado eventualmente di falsificarla (mediante deduzione di fatti d'esperienza da asserzioni di base), Popper affida alla ragione il compito di individuare i possibili errori che si celano nella teoria presa in esame. Se le asserzioni di base risultano non contrastare con l'esperienza, ovvero se i tentativi di falsificazione coordinati dalla ragione non hanno alcun esito, la teoria viene ritenuta «corroborata»,[2] ma mai «verificata» essendolo soltanto in modo provvisorio, dato che altre asserzioni di base, in futuro, potrebbero falsificare la teoria.

Razionalismo e fallibilismo

Dal razionalismo critico deriva la concezione fallibilistica popperiana per cui tutte le conoscenze empiriche sono incerte, ma che non nega l'esistenza di una verità assoluta come ideale regolativo a cui tendere.[3] Da qui la rivalutazione dell'errore e della sua portata negativa, grazie a cui è possibile in un certo senso delimitare l'orizzonte della verità: l'errore rappresenta infatti un limite, negativo ma anche costitutivo della scienza, perché consente di imparare da esso,[4] attraverso la sua costante eliminazione resa possibile dal dibattito critico.[5] Il progresso scientifico non consiste nell'accumulo di verità, ma nello scarto degli errori: quanto più si sbaglia, tanto più si evolve la conoscenza, in maniera analoga all'evoluzione biologica.[6]

«Evitare errori è un ideale meschino. Se non osiamo affrontare problemi che sono così difficili da rendere l'errore quasi inevitabile, non vi sarà allora sviluppo della conoscenza. In effetti, è dalle nostre teorie più ardite, incluse quelle che sono erronee, che noi impariamo di più. Nessuno può evitare di fare errori; la cosa grande è imparare da essi.»

Note

  1. ^ Karl Popper, Scienza e filosofia. Problemi e scopi della scienza, pag. 146, Einaudi, Torino 1969.
  2. ^ Popper non parla in questo caso di probabilità, affermando semmai che il «grado di corroborazione» di una teoria è inversamente proporzionale alla sua probabilità di essere vera: quanto più infatti una teoria è facilmente soggetta a smentite (cioè improbabile), tanto più ha valore ed è ricca di contenuti, in ragione del numero di controlli e di asserzioni che rischiano di falsificarla; ed «un controllo si dirà tanto più severo quanto maggiore è la probabilità di non superarlo» (K. Popper, Poscritto alla logica della scoperta scientifica, I: il realismo e lo scopo della scienza, pag. 258, trad. it., Milano, Il Saggiatore, 1984).
  3. ^ K. Popper, Congetture e confutazioni, pag. 338, Il Mulino, Bologna 1972.
  4. ^ «La nostra conoscenza si accresce nella misura in cui impariamo dagli errori» (K. Popper, Congetture e confutazioni, prefazione, pag. 4, Bologna, il Mulino, 1972).
  5. ^ «La critica delle congetture è di importanza decisiva: mettendo in evidenza i nostri errori, essa ci fa comprendere le difficoltà del problema che stiamo cercando di risolvere. È in questo modo che prendiamo meglio conoscenza del problema e ci mettiamo in grado di proporre soluzioni più avanzate: la stessa confutazione di una teoria [...] è sempre un passo avanti, che ci porta più vicino alla verità. E questo è il modo in cui possiamo imparare dagli errori» (K. Popper, Congetture e confutazioni, op. cit., pp. 3-4).
  6. ^ Dario Antiseri, Karl Popper: protagonista del secolo XX, pag. 118, Rubbettino, 2002.

Bibliografia

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