Vibo Valentia
Vibo Valentia (AFI: [ˈvibo vaˈlɛnʦja][4], ), già Monteleone fino al 1863 e Monteleone di Calabria dal 1863 al 1928 (Muntiliuni in dialetto vibonese[5]), è un comune italiano di 30 986 abitanti[1], capoluogo dell'omonima provincia in Calabria. Corrisponde all'antica Hipponion (Ἱππώνιον), importante città della Magna Grecia su cui sorse poi la colonia romana di Valentia. Fu un centro fortificato greco-bizantino durante l'Alto Medioevo e passò successivamente sotto il controllo normanno. Col nome di Monteleone fu capoluogo della Calabria Ulteriore fra il 1582 e il 1593 e poi nuovamente fra il 1806 e il 1816. Divenne capoluogo dell'omonima provincia nel 1992, a seguito di una partizione della provincia di Catanzaro. Si affaccia sulla Costa degli Dei. Geografia fisicaTerritorioLa posizione della città, adagiata sul pendio di un colle,[6] assume un'importanza strategica in ambito territoriale. Crocevia sin dai tempi dell'antica Grecia e dell'impero romano[7][8][9], domina sia l'hinterland, sia la catena montuosa delle Serre calabresi, sia la zona marittima con il suo porto e le stazioni turistiche. È necessario viaggiare su gomma anche per raggiungere il porto della frazione Vibo Marina. La città di Vibo Valentia sorge su un grande terrazzamento collinare scistoso, Il palazzo comunale sorge a 476 m s.l.m. ma il comune raggiunge i 567 metri s.l.m. nella parte più alta e si trova sul livello del mare nella zona Marina. Le tre maggiori concentrazioni di attività industriali del comune sono presso la Località Aeroporto, presso Porto Salvo (adiacente a Vibo Marina, grazie allo sfruttamento delle opportunità fornite dalla presenza del porto polifunzionale e dello scalo ferroviario), e infine al confine con Maierato, mentre la zona commerciale è sita all'interno della città sulla collina, come anche la maggior concentrazione demografica. IdrografiaIl fiume più importante del territorio comunale è il Mesima, che nasce alle pendici del monte Mazzucolo (942 m) e sfocia nel mar Mediterraneo a nord di San Ferdinando, località tra Nicotera (VV) e Rosarno (RC). Gli confluiscono a sinistra il fiume Marepotamo, il fiume Metramo e il fiume Vena e a destra il fosso Cinnarello e il torrente Mammella. Nel territorio comunale scorre alle spalle del castello normanno-svevo, all'interno dell'omonima vallata. La città presenta inoltre numerose fiumare, tra cui spiccano il Sant'Anna e il Trainiti. ClimaIl clima estivo in città non è mai troppo caldo, a stento supera i 30 °C ma in compenso è umido e afoso, solo nelle zone più basse del territorio comunale le massime possono raggiungere anche i 35 °C. Il clima è piacevole, mai troppo freddo e si concede spesso a giornate soleggiate che raggiungono anche i 20 °C in pieno Inverno. Le precipitazioni non sono molto frequenti, e in particolare le nevicate sono rare. In base alla media trentennale di riferimento 1961-1990, la temperatura media dei mesi più freddi, gennaio e febbraio, si attesta a 12,2 °C; quella del mese più caldo, agosto, è di 26,3 °C. Le precipitazioni medie annue si aggirano sui 550 mm e si distribuiscono mediamente in 73 giorni, con un prolungato minimo estivo e un moderato picco tra l'autunno e l'inverno[10].
Classificazione climatica: zona D Origine del nomeNel corso della sua millenaria storia, Vibo Valentia ha avuto differenti nomi, che corrispondono all'evoluzione della città nelle epoche storiche:[11]
StoriaDalla preistoria all'epoca romanaAl Neolitico, risalgono tracce di un'intensa frequentazione[7][8] dell'attuale Vibo Valentia (strumenti del Neolitico sono venuti alla luce durante lo scavo della Necropoli Occidentale di Hipponion, Orsi segnalava altri rinvenimenti relativi a questo periodo vicino ai resti del tempio dorico in località Belvedere Telegrafo e nel tratto delle mura greche di Hipponion in località Trappeto Vecchio, il Topa ricorda vari ritrovamenti del Neolitico a Vibo, infine in recenti scavi presso via Romei sono emerse significative tracce di questo periodo). Tracce di occupazione nell'Età del bronzo e del ferro sono state ritrovate durante lo scavo della Necropoli Occidentale, dell'area sacra in località Scrimbia e nell'area sacra in via Romei. Il nome di questo primo insediamento indigeno doveva essere Veip o Veipuna. Per avere uno sbocco commerciale sul mar Tirreno ed evitare di fare il periplo della Calabria e quindi attraversare lo stretto (sotto l'influenza di Rhegion), nella seconda metà del VII secolo a.C. i greci di Locri Epizefiri fondarono la sub-colonia con il nome di Hipponion[13]. Alla fine del VI secolo a.C., la città sconfisse in battaglia Crotone con l'aiuto di Locri e Medma: la notizia è riportata su uno scudo con incisa una dedica ritrovato a Olimpia[14][15], è da sottolineare che Hipponion ricopre il primo posto sull'incisione di certo per la principalità avuta nello scontro. Inizialmente si era supposto che lo scudo fosse un trofeo della battaglia della Sagra, ma la differente collocazione cronologica di questo evento rispetto alla datazione dello scudo e il fatto che le fonti non riportino Hipponion e Medma nella battaglia della Sagra, mentre nella dedica Hipponion occupa il ruolo principale, ha fatto cadere tale teoria. Lo scudo infatti è della fine del VI secolo a.C.[15], sembra riferibile piuttosto a una battaglia non ricordata dalle fonti, inquadrabile probabilmente in un periodo di poco successivo allo scontro fra Sibari e Crotone, avvenuto nel 510 a.C. Nel 422 a.C. Tucidide riporta la notizia di uno scontro di Hipponiati e Medmei contro la propria madrepatria Locri Epizefiri, inteso fino a poco tempo fa come una sorta di ribellione delle sub-colonie contro Locri, ma in realtà i ritrovamenti archeologici attestano che Hipponion dovette essere autonoma fin dall'inizio: i ricchi doni votivi dell'area sacra in località Scrimbia attestano infatti la presenza di una ricca classe aristocratica che aveva il controllo della città sin dall'età arcaica, ciò fa comprendere come l'organizzazione sociale di Locri fosse analoga a quella di Hipponion e quindi non subordinata a quella della città madre. Un altro segno dell'indipendenza di Hipponion è dato anche dallo scudo di Olimpia, dal quale si evince che fu Hipponion la città che guidò una guerra contro Crotone e dallo stesso Tucidide che definisce gli Hipponiati come homoroi ("confinanti") dei Locresi. Probabilmente ci furono dei legami di tipo federale fra Locri, Hipponion e Medma secondo il quale in caso di guerra una polis poteva richiedere l'ausilio delle altre due, e forse per una richiesta troppo pesante da parte dei Locresi in questa lega, originò nel 422 a.C., lo scontro. Dell'esito del conflitto Tucidide non ci dà notizie, ma che sia stato favorevole a Hipponiati e Medmei sembra certo dai successivi avvenimenti che videro schierarsi Locri insieme a Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa. All'inizio del IV secolo a.C., infatti, Dionisio si sposava con una donna locrese e Locri darà supporto al tiranno nelle sue spedizioni in Italia. Nel 393 a.C., il tiranno, una volta occupata Medma, deporta parte dei suoi abitanti a Messana e lascia il territorio della città ai Locresi. Ciò spinse Hipponion, Rhegion, Kaulon, Kroton, Thurii, Velia e una serie di centri minori, ad allearsi in vista della minaccia siracusana, creando la cosiddetta Lega Italiota, tuttavia nel 388 a.C. dopo la sconfitta degli Italioti a Kaulon nella battaglia dell'Elleporo (389 a.C.), Dionisio conquisterà Hipponion e deporterà parte degli abitanti a Siracusa, consegnandone il territorio ai Locresi. Nove anni dopo, nel 379 a.C., i Cartaginesi libereranno la città e la ripopoleranno con gli Hipponiati deportati da Dionisio e con altri esuli a causa della tirannia. Nel 356 a.C. la nascita del popolo Brettio causò non gravi problemi a Hipponion, che forse, seppure per un breve periodo verrà occupata da questa popolazione Italica. Nel 340-331 a.C. interverrà contro i Brettii Alessandro il Molosso re dell'Epiro che inizialmente riuscirà a liberare la greca Terina (città a Nord di Hipponion) passata da alcuni anni sotto il controllo brettio e conquistando le Brettie Pandosia e Cosenza, dando sollievo a per un certo periodo a Hipponion. Ma nel 331 a.C. l'epirota morrà ucciso a tradimento vicino a Pandosia. Inizierà alla fine del IV secolo a.C. la realizzazione di una nuova fase della cinta muraria, dotata di torri circolari che dovevano richiedere un enorme spesa pubblica e la presenza di manodopera specializzata. Nel 294 a.C. Agatocle, Tiranno di Siracusa conquista Hipponion secondo quanto tramandato da Diodoro "Agatocle pose l'assedio alla città degli Hipponiati...[lacuna]... e mediante le macchine lanciasassi ebbero la meglio sulla città e la conquistarono" (Diod XXI, fr. 8). Agatocle rese Hipponion uno dei suoi principali centri per il controllo dei possedimenti in Italia: da Strabone sappiamo che ne ingrandì il porto, le testimonianze archeologiche attestano il rafforzamento delle mura che renderanno la città una vera e propria grande roccaforte. Poco dopo la morte di Agatocle ci sarà lo scontro delle città della Magna Grecia con i Romani e l'intervento di Pirro. Dopo la fine della guerra, Hipponion, come gli altri centri italioti e Bruzi, passerà sotto il controllo dei Romani e verrà insediato un presidio romano. Il controllo romano sarà assente durante la seconda guerra punica, quando i Brettii passati dalla parte di Annibale se ne impossesseranno. Nel 192 a.C., pochi anni dopo la fine della II Guerra punica, i Romani dedurranno a Hipponion una colonia a diritto latino (Liv., XXXV, 40, 5-6) chiamata Valentia, con diritto di zecca e varie autonomie. Il nome Valentia (attestato sulle monete della colonia e dall'epigrafe di Polla che ricorda la costruzione della via Popilia), in latino significa forza, potenza militare, insieme al massiccio invio di coloni superiore a tutti gli altri centri del Bruzio: 4.000 soldati, di sicuro con donne e figli, fa comprendere come la capitale dell'Impero riconosceva al centro tirrenico grande importanza strategica ed economica. Successivamente, dall'89 a.C. quando divenne municipio, Vibo Valentia fu il nome utilizzato per indicare la città (Strabone, Plinio il vecchio, ecc.). La città possedeva un ampio territorio: in epoca greca la sua chora (territorio in greco) era confinante con quella di Locri Epizephiri (Thucid. 5,5,1). Secondo gli studi più recenti il suo territorio doveva avere per confine a nord il torrente Lametos (ora Amato), a sud Nicotera e a est la catena montuosa delle Serre, a ovest il mar Tirreno; in epoca romana il confine dell'ager Vibonensis (così come lo chiama Tito Livio) si era spinto a sud poco più in giù del fiume Mesima (prendendo anche il posto di Medma, situata presso l'odierna Rosarno, che da fiorente colonia greca era ormai scomparsa in epoca romana). Durante il periodo romano, la costruzione della Via Popilia interessò la città che divenne un'importante stazione. Di grande importanza per lo sviluppo della città fu anche il porto, i cui resti sono in parte interrati e in parte sott'acqua fra la località Trainiti e Bivona nel comune di Vibo Valentia. Parlando di Vibo, Strabone riferisce che essa possedeva un epineion, ossia un porto che sorge a una certa distanza dalla città da cui dipende, che sarebbe stato rafforzato da Agatocle tiranno di Siracusa, dopo averlo conquistato nel 294 a.C. Durante l'epoca romana, il porto divenne il principale scalo di partenza, sul Tirreno, del legname della Silva Bruttia per la costruzione delle navi del potente esercito romano. Grazie alla sua importanza strategica e politica, Vibo ebbe l'onore di ospitare Giulio Cesare, Ottaviano e Cicerone, che la ricorda nelle sue lettere. Gaio Giulio Cesare aveva utilizzato il porto della città, durante le guerre civili, per ospitare metà della sua flotta; lo stesso Cesare descrive un episodio bellico avvenuto nei pressi del porto della città. La flotta stanziata a Vibo riuscì a respingere un assalto dei Pompeiani, guidati da Cassio Longino, distruggendo la nave dello stesso generale nemico che dovette fuggire su una scialuppa per, poi, una volta raggiunto le altre navi allontanarsi definitivamente dalle acque Vibonesi.[16] Ottaviano come il suo padre adottivo utilizzò il porto della città come base navale. Infatti, nel 36 a.C., il futuro imperatore venne sconfitto e messo in fuga da Sesto Pompeo (figlio del più famoso Gneo) che si era impadronito della Sicilia, così con la flotta duramente colpita dalla sconfitta si rifugiò nella fiorente città tirrenica ove stabilì il suo quartier generale e visse per circa un anno. Appiano nell'opera sulle guerre civili descrive i vari spostamenti della flotta che aveva come base principale Vibo Valentia. Quando Pompeo venne sconfitto definitivamente, la città, che per l'importanza e la prosperità raggiunta era stata scelta come territorio da assegnare ai veterani come colonia, venne esonerata dal gravoso incarico insieme a Reggio per i meriti ottenuti in questo frangente,[17] mantenendo così illesa la sua fiorente economia. Sempre Appiano indica Vibo Valentia come una delle sette città più ricche dell’Italia romana in età augustea. Almeno a partire dal V secolo (ma probabilmente già un secolo prima) diventa sede di una diocesi, il nome nel tardo impero cambia in quello di Vibona. Dal Medioevo al secolo XIXDopo la fine dell'impero romano i bizantini provvidero a fortificarla, ma i saraceni l'attaccarono e saccheggiarono più volte. Ruggero I di Sicilia pose nell'XI secolo i suoi accampamenti a Vibo e in seguito trasferì la sede della diocesi, presente a Vibo fin dal V o IV secolo, nella sua Mileto. Sempre in questo periodo, Ruggero smantellò colonne e marmi degli antichi edifici classici di Vibo Valentia per utilizzarli a Mileto nella costruzione di altri edifici. Federico II di Svevia passando dalla città, rimasto impressionato per la bellezza e il potenziale strategico del luogo (Nicolai de Jamsilla, De rebus gestis Federici II imperatoris), diede l'incarico al "secreto" di Calabria, Matteo Marcofaba, di ricostruirla e ripopolarla e da allora cambiò il nome in Monteleone. In questo periodo venne realizzata la prima fase del castello che per errore veniva attribuita al periodo Normanno. Sotto gli Angioini la città acquisì ancora più prestigio e prosperità, divenendo serie del vicario reale. Sempre nello stesso periodo venne ulteriormente rafforzato e ingrandito il castello e la cinta muraria medievale. In seguito fra il periodo Angioino e Aragonese, divenne Feudo dei Caracciolo e poi comune demaniale. Nel 1501, usurpando quelli che erano i diritti della città, venne affidata nuovamente come feudo ai Pignatelli. Per questo scoppiò una rivolta per il quale dovette intervenire il generale Lo Tufo del regno di Napoli. Quest'ultimo non riuscendo a domarla, chiamò per discutere i sette capi del popolo che vennero uccisi a tradimento. Qualche anno dopo, la monteleonese Diana Recco che aveva perso un fratello e il padre nella rivolta, uccise a pugnalate il generale Lo Tufo che stava partecipando alla cerimonia di matrimonio di una delle figlie. In ogni caso i Pignatelli pensarono allo sviluppo della città, creando filande, oleifici e favorendo molte attività artigianali. Nel XVII secolo, Monteleone è uno dei centri serici più produttivi della regione. In questo periodo nella città si svolgeva un importante mercato della seta che aveva come destinazione Napoli o Cava dei Tirreni[18]. Nell'Ottocento i francesi la elevarono a capoluogo della Calabria Ultra e da allora fino a pochi decenni addietro fiorirono tanti mestieri, il cui ricordo è nel nome di strade (Via Forgiari, via Chitarrari, via Argentaria, ecc.) e di istituzioni come il Real Collegio Vibonese (l'ancora esistente Convitto Filangieri e il teatro Comunale, demolito negli anni sessanta). Dopo il ritorno dei Borbone la città perse il ruolo di capoluogo e la sua importanza politica ed economica venne ridimensionata. Durante le guerre per l'Unità d'Italia, Garibaldi passò da Monteleone dove ottenne aiuti materiali e finanziamenti da parte degli abitanti. Nel 1861, dopo l'Unità d'Italia, il nome della città venne cambiato in Monteleone di Calabria. Periodo fascistaDurante il regime fascista, per opera di Luigi Razza, giornalista, politico, deputato al Parlamento e Ministro dei Lavori Pubblici, si avviò un grande rilancio nel campo dei lavori pubblici, in cui spicca la costruzione del Palazzo del Municipio (finito di costruire nel 1935 e che, secondo il progetto iniziale, avrebbe dovuto accogliere, al termine, la Prefettura della costituenda provincia) in stile razionalista. Per iniziativa dello stesso Razza, nel 1927 un regio decreto ispirato dal governo fascista che diverrà effettivo il 13 gennaio 1928, ribattezzò la città da Monteleone di Calabria a, secondo l'antica dizione latina, Vibo Valentia. La spinta edilizia pubblica nella città ebbe un deciso arresto quando il ministro Razza scomparve in un incidente aereo in Egitto nel 1935. La città ha voluto successivamente onorarne la memoria con una statua bronzea, a figura intera, scolpita da Francesco Longo nel 1938 e personalmente inaugurata da Benito Mussolini nel 1939 durante la sua visita alla città, la quale si erge in Piazza San Leoluca su un alto piedistallo, sormontato da una stele recante in cima l'effigie marmorea della Vittoria alata. Un'altra effigie gli è stata riservata nel Palazzo del Municipio, a lui intitolato. A Luigi Razza la città ha inoltre intitolato il proprio aeroporto militare, lo stadio, una piazza e una via del centro storico. Età contemporaneaAvvenimento più importante degli ultimi anni, nel 1992, è stata la proclamazione dell'omonima provincia, che in precedenza era compresa nella provincia di Catanzaro. Nel 1993, con la realizzazione di un monumento, la città ha inteso onorare la memoria di un suo abitante, Michele Morelli, patriota e martire del risorgimento. Nel corso degli anni novanta, Vibo Valentia dedica una piazza e un busto bronzeo al poeta Vincenzo Ammirà. Il 3 luglio 2006 viene duramente colpita da un'alluvione, che provoca la morte di quattro cittadini e ingenti danni economici all'industria, al turismo e ai beni dei privati. I danni maggiori si registrano nelle località di Longobardi, Vibo Marina e Bivona, investite da una grande quantità di acqua, fango e detriti. Gli interventi di sistemazione sono stati affidati a una commissione presieduta da Pasquale Versace, docente di Idrologia e Progettazione di Opere Idrauliche all'Università della Calabria. Nel 2021, poi, la città è stata designata Capitale italiana del libro da parte dell'allora ministro della Cultura Dario Franceschini.[19] SimboliScudo partito d'oro e di rosso e al terzo superiore spaccato di azzurro. Nel primo ha tre monti di verde, sul medio (quello centrale) più alto un leone rampante lampassato di rosso, di cui una metà di azzurro nel campo d'oro, e l'altra dello stesso nel campo di azzurro. Nel secondo ha due corna di Amaltea (cornucopie) d'oro colme di frutta dello stesso e un'asta d'argento sostenente sull'estremità una civetta nel campo di azzurro. Scudo timbrato da corona ducale, con la dicitura in basso S.P.Q.V. Il gonfalone è un drappo troncato di azzurro e di rosso. Monumenti e luoghi d'interesseArchitetture religiose
Architetture militari
Castello normanno-svevoIl castello sorge dov'era ubicata probabilmente l'Acropoli di Hipponion che in parte si estendeva pure sulla collina vicina. Nonostante la prima fase di costruzione della struttura venga volgarmente attribuita all'età normanna, in realtà, essa risale al periodo svevo[27] quando Matteo Marcofaba governatore della Calabria venne incaricato da Federico II di ripopolare e favorire lo sviluppo della città. il castello venne ampliato da Carlo d'Angiò nel 1289 quando assunse più o meno un aspetto simile a quell'odierno. Fu rafforzato dagli Aragonesi nel XV secolo e infine rimaneggiato dai Pignatelli tra il XVI-XVII secolo, perdendo quasi del tutto la funzione militare e assumendo invece quella di abitazione nobiliare. Il secondo piano fu demolito di proposito, in quanto pericolante, a causa dei danni riportati dopo il terremoto del 1783. Il castello presenta oggi delle torri cilindriche, una torre speronata e una porta a un'arcata di epoca angioina. È oggi sede del Museo archeologico statale. Delle ultime due fasi rimangono, almeno in pianta 8 torri circolari. Qualcuna di esse si è conservata oltre le fondamenta, in particolare una che raggiunge circa i 4 metri di altezza. Queste torri dovevano essere alte in origine circa 10 metri.
Castello di BivonaIl castello di Bivona venne fatto edificare nella prima metà del Quattrocento da Mariano d'Alagno fratello di Ugone e di Lucrezia, governatore di Monteleone, a difesa del porto. Il castello ha una pianta più o meno rettangolare con quattro torri circolari agli angoli. Venne abbandonato alla fine del Seicento per la formazione di paludi nelle vicinanze. Da allora il castello è rimasto in totale stato di abbandono; da poco[non chiaro] è iniziato il restauro che lo renderà nuovamente agibile. Architetture civili
Sito in via Ruggero il Normanno, ai piedi del Castello, il palazzo, di 1500 m², è stato costruito alla fine del XVII - inizi del XVIII secolo, su preesistenti costruzioni del '400 e '500 forse appartenenti ai Pignatelli e al governo di Monteleone. Presenta una facciata in muratura mista, a vista, su cui si apre il portale d'ingresso con arco a tutto sesto in granito, formato da conci diversamente lavorati. Al suo interno è custodita una ricca collezione archeologica e un'importante biblioteca, tra cui spicca un foglio autografo di Giacomo Leopardi, ospite in passato del palazzo, contenente la poesia da egli composta, L'infinito[28].
Il palazzo fu fatto costruire da Antonino Cordopatri nel 1784, su alcuni ruderi di un'antica costruzione del 600 andata distrutta durante il terremoto del 1783. Ubicato nella via omonima, sorge nel cuore della Vibo vecchia ed è una fra le prime costruzioni sorte dopo il 1783, come è evidenziato dagli elementi decorativi neoclassici del prospetto principale. Lo stato di conservazione dell'edificio, soprattutto della parte centrale, è pessimo. Lesioni, parti mancanti, crepe, umidità stanno avendo il sopravvento sulle strutture murarie interne ed esterne. Palazzo RomeiIl palazzo, ubicato in via F. Cordopatri, venne costruito alla fine del Quattrocento da Giovanni Andrea Romei su progetto di Leon Battista Alberti. L'edificio ha la forma di un parallelogramma, posto su tre livelli. Di una bellezza particolare sono i suoi balconcini con ringhiera in ferro battuto a "pancia", realizzati con listelli volutiformi e applicazioni floreali. All'interno è visibile un affresco con lo stemma gentilizio della famiglia Sacco, in possesso del palazzo dalla metà del 1600 al 1730. Altri palazzi
Il palazzo sorge sulla parte più alta di via Gioacchino Murat, via che prese questo nome per la presenza del Murat in casa del Marchese, durante il suo breve regno. L'edificio di 1800 m², ricorda vagamente alcune ville vesuviane del Settecento, come villa Campolieto e villa De Gregorio a Roma, per alcuni spunti della facciata, e per la concezione dell'atrio opposto all'entrata del parco. Elementi vanvitelliani concorrono a darne un gusto chiaramente classico. Il palazzo da poco più di un decennio[non chiaro] è sottoposto a vincolo di tutela unitamente al parco.
Alla fine del XVIII secolo, sull'area occupata precedentemente dalla chiesa dei Santi Marco e Luca, sorgeva il primo palazzo Gagliardi, di dimensioni ridotte e che aveva pregevoli pitture di Emanuele Paparo e Michele Pagano. Nel 1860 vi soggiornò Giuseppe Garibaldi, come è ricordato da una lapide sull'attuale facciata. L'edificio venne demolito nel XIX secolo per dar posto a un altro più grande. Fu donato nel 1952-53 all'Associazione per il Mezzogiorno per utilizzarlo a scopi culturali e successivamente dall'associazione passò al Comune della città. In passato ha ospitato il Museo archeologico. È attualmente sede dell'Istituto Italiano di Criminologia.
Palazzo Marzano sorge al centro del quartiere Marzano, nei pressi della chiesa di San Michele. È di proprietà della famiglia Marzano sin dal 1658. Il palazzo a forma di E, ha un certo valore artistico soprattutto per il bellissimo portale d'ingresso, formato da una serie di cornici allineate verticalmente. Nella struttura del palazzo non sono state effettuate modifiche sostanziali. Un piccolo intervento si ebbe nel 1700 quando, per motivi di eredità, venne realizzata una parete divisoria nella sala principale.
Il palazzo apparteneva alla famiglia di Francia, quando nel 1927 confluì nel patrimonio della famiglia messinese degli Stagno per lascito testamentario del cavaliere Antonio di Francia alla nipote Teresa Stagno d'Alcontres.
Il palazzo fu fatto costruire dai Marchesi Gagliardi, passando poi all'attuale famiglia in seguito al matrimonio di un rappresentante della stessa con Antonietta Gurgo vedova Gagliardi. A due piani, di 1700 m², sorge su piazza Garibaldi, fra il palazzo Gagliardi e la chiesa di Santa Maria degli Angeli. Al piano terra due ampi portali con arco a tutto sesto immettono, attraverso un imponente androne, negli appartamenti padronali
Fatto costruire alla fine del '700 dal Barone Domenico Antonio Froggio (i Froggio vennero conosciuti fino ad ottocento inoltrato come "Baroni di Santo Stefano") ed è appartenuto a questa famiglia fino al 2013. È situato in via Marconi (antica piazza di Majo). Si tratta di una palazzina che richiama, non certo per la sontuosità, l'architettura civile settecentesca napoletana (forse unico esempio di questo stile tra i palazzi vibonesi). Degni di rilievo sono l'atrio e la bella scalinata.
Siti archeologiciSituate in località Trappeto Vecchio, sono le mura difensive della città della Magna Grecia Hipponion. Si distendono per circa 500 metri e sono costituite da blocchi squadrati di arenaria e calcarenite del VI secolo a.C. per la prima fase costruttiva. I blocchi sono disposti a doppio paramento con muretti trasversali di collegamento, il riempimento interno è in argilla.[29]
Situate in località Sant'Aloe. Constano di un impianto termale riferito alla città romana di Vibonia del II secolo d.C. e diverse domus, di una è presente il peristilio, quasi tutte pavimentate con mosaici policromi[30]. Il complesso termale è articolato in frigidarium, calidarium e palestra, forse connesso a un'abitazione a carattere pubblico.[31] L'impianto termale è arricchito da diversi mosaici policromi figuranti divinità, creature mitologiche o animali.[29]
Rinvenuto da Paolo Orsi nel 1916, è situato all'interno del Parco delle Rimembranze, località Belvedere Grande-Telegrafo.[32] Il tempio è periptero riferibile al VI-V secolo a.C. Le dimensioni sono di 17,10 × 37,45 m.[29]
In località Cofino sono presenti i resti archeologici di un tempio ionico dedito al culto di Persefone e Demetra. A Cofino sono stati portati alla luce i resti di un tempio ionico (fine V-inizi IV secolo a.C.). Sono stati ritrovati due depositi sacri, uno individuato da strutture e l'altro da statuette raffiguranti Demetra, madre di Persefone, con i tradizionali attributi del porcellino e della fiaccola a croce. Il santuario ubicato sull'altura del Cofino fu utilizzato dalla fine del VI secolo a.C. e almeno fino al IV secolo a.C.; il sito sembra essere stato abbandonato in pieno periodo romano, quando nella zona furono costruite alcune abitazioni.[33]
Sita in località Scrimbia, una necropoli del VII secolo a.C. da cui provengono numerosi reperti ospitati all'interno del Museo archeologico statale Vito Capialbi.[29]
Sito nei pressi della Cava Cordopatri, nelle immediate vicinanze del Castello normanno-svevo, è un tempio dorico, naiskos, databile al V secolo a.C.[29].
Situati in piazza San Leoluca, sono stati scoperti il 5 febbraio 2014 durante i lavori di rifacimento della piazza. Gli scavi hanno messo in luce le vestigia di un edificio di epoca ellenica, una domus romana di età imperiale ornata con un mosaico e un battistero di epoca paleocristiana, scoperta di particolare interesse unica nel suo genere in Calabria.[34]
Sito archeologico rinvenuto nel 2009 al di sotto del palazzo municipale, in piazza Martiri d'Ungheria, durante i lavori di ampliamento di questo. Si tratta di un intero quartiere artigianale di epoca Romana comprensivo di tre fornaci di diverso tipo, un pozzo e una cava di estrazione dell'argilla.[35] • Resti di strutture abitative dell’età ellenistica[36] Situata all’interno della Villa comunale "Nazzareno Cremona" è presente un’area rettangolare, 12 metri per 4, ove sono visibili resti di strutture murarie pertinenti a più unità residenziali del periodo ellenistico riferibili a più epoche storiche databili tra gli ultimi decenni del V e gli inizi del IV secolo aC e gli ultimi decenni del IV e il II secolo a.C.[37] Aree naturali protette
Parchi urbani
SocietàEvoluzione demograficaDopo il boom degli anni sessanta, la città degli anni settanta subì una sostanziale stabilizzazione dell'evoluzione demografica. L'aumento dell'attività edilizia nel corso degli anni ottanta consentì alla città di "recuperare" il trend demografico positivo che aveva caratterizzato i decenni precedenti. Nel 2001, tuttavia, la popolazione della città risulta in diminuzione rispetto alle rilevazioni precedenti. Come quasi tutte le medie città calabresi in evoluzione durante gli anni novanta (vedi ad esempio Cosenza nei confronti di Rende), Vibo Valentia ha subito negli ultimi anni[non chiaro] un progressivo spopolamento del centro a tutto vantaggio dei limitrofi comuni di Jonadi, Sant'Onofrio, Stefanaconi, San Gregorio d'Ippona, Maierato e Pizzo. È allo studio una proposta di fusione con altri 13 comuni limitrofi e portare così la popolazione a circa 80 000 unità.[senza fonte] Abitanti censiti[39] Popolazione storica (migliaia)[40]
Etnie e minoranze straniereAl 31 dicembre 2019 i cittadini stranieri residenti a Vibo Valentia erano 1 622[41], così suddivisi per nazionalità (sono indicati solo i dati superiori alle 50 unità): Lingue e dialettiIl calabrese meridionale, come tutti i dialetti, si è evoluto negli anni. L'idioma ellenico, nato dal greco dei coloni ellenici che fondarono varie colonie, fra le quali la stessa Hipponion, fu parlato come in altre zone della regione anche nel periodo romano[senza fonte], insieme al latino, e poi fino all'età bizantina.[senza fonte] Tradizioni e folclorePersefoneLa mitologia racconta che là, dove l'aspro sperone del monte Ipponio si protende sul mare di Lampetia, la giovane dea Persefone-Kore, figlia di Zeus, chiamato in italiano Giove versore, e di Demetra, fu rapita un giorno da Plutone che la costrinse a seguirlo nell'Averno su un carro trainato da cavalli furenti. Il padre Zeus dispose che trascorresse i mesi dell'inverno nell'Ade e i mesi estivi sulla terra. In quel luogo fu innalzato un tempio e le fanciulle dell'antica Veip (odierna Vibo Valentia), in primavera, vestite a festa, con la testa cinta di fiori, rendevano omaggio alla dea. Diana ReccoDiana Recco fu una leggendaria eroina monteleonese (vibonese) del XVI secolo. In quel periodo Vibo Valentia era sotto il dominio della signoria del tiranno Del Tufo, il quale represse duramente una rivolta facendo giustiziare a morte sette cittadini ed esponendo le loro teste sui torrioni del castello. Diana Recco, sorella e figlia di due dei rivoltosi che furono uccisi, si fece vendetta dopo dieci anni dall'evento pugnalando Del Tufo. Azzo duce di CalabriaAzzo duce di Calabria alla testa di mille Valentini rigettò in mare le orde Saracene che volevano distruggere la romana Valentia. Per celebrare la vittoria, per un arco di tempo di venti anni, Vibona Valentia tramutò il nome in "Millarmi". Gruppo folkLa città si fa fregio di un gruppo folkloristico, il "Gruppo folk città di Vibo Valentia", il quale negli anni ha avuto modo di partecipare numerose volte all'Europeade, nelle capitali di mezza Europa e ad altre manifestazioni nazionali e internazionali.[42] I riti della PasquaIn passato il mercoledì Santo veniva celebrata l'Opera Sacra, cioè la passione vivente di Cristo. Il giovedì Santo, le chiese allestiscono i "Sepolcri" (altare della reposizione) che, dopo la Missa in Coena Domini, ricevono il pellegrinaggio di migliaia di persone. La tradizione, in particolare, vuole che se ne visitino in numero dispari. Il venerdì Santo, dalla chiesa del Rosario esce la processione dei Misteri Dolorosi tradizionalmente chiamata dei "Vari" dove sfilano le statue che raffigurano i vari momenti della Passione e Morte di Cristo accompagnate dalla banda che intona delle marce funebri. A tarda sera, molto suggestiva è la Processione della Madonna Desolata, partendo dalla chiesa di San Giuseppe con musica e lumi ad acetilene seguita da una marea di popolo commosso e silenzioso che accompagna per le strade cittadine la statua dell'Addolorata. La domenica di Pasqua, infine, ha luogo la cosiddetta Affruntata: tra due ali di folla la Madonna Addolorata e San Giovanni vanno alla ricerca del Cristo Risorto. Il momento più suggestivo è dato dall'incontro tra la Madonna e il Cristo Risorto: nell'attimo dell'incontro, infatti, alla statua della Madonna viene strappato il velo nero, segno del lutto, per far spazio a un vestito azzurro e bianco, simbolo della festa della Resurrezione. La tradizione vuole che, se il velo nero rimane al suo posto, grandi sciagure attendono la città. È per questo motivo che la comparsa del vestito azzurro e bianco viene salutata con un lungo applauso liberatore; segue poi una breve processione con le tre statue. Istituzioni, enti e associazioniOspedali
CulturaMarco Tullio Cicerone a Vibo Valentia(LA)
«Ipsis autem Valentinis ex tam Illustri Nobilique Municipio [...]» (IT)
«Ai delegati, poi, Valentini (di Vibo Valentia) uomini di così Illustre e Nobile Municipio [...]» Marco Tullio Cicerone sostò a Vibo Valentia nel 71 a.C., nel 58 a.C. e nel 44 a.C. La fonte storica di queste soste è lo stesso Cicerone, che ne dà dettagliate notizie nelle Lettere e nelle Verrine. Nel 71 a.C. sostò a Vibo durante il suo viaggio verso la Sicilia, dove si recò accompagnato dal cugino Lucio Tullio per raccogliere prove e testimonianze relative al processo contro il pretore Verre. Si fermò alcuni giorni nella città, venendo a conoscenza di numerosi dettagli per l'accusa. La zona costiera di Vibo Valentia, infatti, soffrì gravi danni a causa delle incursioni piratesche da parte di gruppi di Italici con cui Verre era connivente. A tal proposito, nel processo Cicerone disse: (LA)
«Ipsis autem Velentinis ex tam illustri Nobilique Municipio tantis de rebus responsum nullum dedisti, cum esses cum tunica pulla et pallio» (IT)
«Ai delegati, poi, di Vibo (ai Valentini) uomini di così illustre e nobile Municipio non desti alcuna risposta su un argomento di tanta importanza, avendo addosso una tunica oscura, dell'umile gente, e il pallio» La sosta del 58 a.C., presso la villa dell'amico Sicca, è documentata invece nella lettera ad Attico: Cicerone, nel marzo dello stesso anno lascia Roma su consiglio dello stesso Attico per sfuggire alla lex Clodia. Nella lettera, scritta nel viaggio tra Capua e Vibo si legge: (LA)
«Utinam illum diem videam, quam tibi agam gratias, quod me vivere coegisti! Adhuc quidem valde me poenitet. Sed oro, ut ad me Vibonem stastim venias, quo ego multis de causis converti iter meum. Sed eo si veneris, de toto itinere ac fuga mea consilium capere potero. Si id non faceris mirabor, sed confido te esse facturum» (IT)
«Voglia il cielo ch'io veda il giorno in cui mi sia dato di ringraziarti per avermi persuaso a vivere. Fino ad ora certamente non ho che da pentirmene amaramente, ma vorrei pregarti di venire subito a Vibona (Vibo), verso cui, per molte ragioni, ho dovuto mutar cammino. Se verrai, potrò prendere una decisione su tutto il viaggio e sul luogo dell'esilio. Se non farai così, rimarrò dolorosamente stupito. Ma confido che lo farai» Alla morte di Cesare, Cicerone viene richiamato a Roma, ma deve di nuovo partire a causa della pericolosa situazione venutasi a creare nello scontro con Antonio. È così che nel 44 a.C. sosta nuovamente a Vibo da dove scrive ad Attico: (LA)
«[..] perveni enim Vibonem ad Siccam [..] Ibi tamquam domi mea scilicet [..]» (IT)
«[..] sono giunto a Vibona presso Sicca [..] qui mi pareva di essere a casa mia [..]» Eventi culturaliNel 2021 la città è stata nominata Capitale italiana del libro dal ministro della cultura Dario Franceschini.[44][45] IstruzioneBiblioteche
Università
Musei
Media
Teatro
CinemaNel 2002, nelle vie del centro storico della città, viene girato il film "Un mondo d'amore" per la regia di Aurelio Grimaldi, la cui storia tratta un pezzo di vita di Pier Paolo Pasolini. La maggior parte delle scene sono state girate nei palazzi del Settecento della città vibonese. CucinaTipico piatto di Vibo Valentia è la fileja, una caratteristica pasta fatta in casa che viene arrotolata su un ferretto e poi condita con ragù di carne[49]. Caratteristici del territorio vibonese sono percorsi enogastronomici della cucina tipica regionale. FrazioniI Circoscrizione
II Circoscrizione
III Circoscrizione
IV Circoscrizione
V Circoscrizione
EconomiaL'economia del comune di Vibo Valentia si basa sulla produzione agricola, sull'artigianato, sull'industria, sul porto e sul turismo. ArtigianatoAndando verso l'entroterra cambia il paesaggio e ci si addentra verso l'altopiano e il Parco Naturale Regionale delle Serre che ospita fra le altre l'oasi del lago Angitola. Qui è particolarmente florido l'artigianato nella zona della Serre (Soriano e Sorianello) con la lavorazione del vimine e della ceramica. Presso Serra San Bruno vi è il museo della Certosa, la più antica esistente in Italia. IndustriaIl nucleo industriale è situato nella zona tra Vibo Marina, Porto Salvo e località Aeroporto, nella quale sorgono importanti piccole, medie e grandi imprese, ma non mancano aziende internazionali che progettano e realizzano impianti industriali e petrolchimici e i relativi componenti meccanici. Nel comune di Maierato è presente lo stabilimento della Tonno Callipo, rinomata industria di tonno, la quale dà il nome all'omonima squadra di pallavolo della città. Nel comune di Limbadi ha sede la Distilleria Caffo, nota azienda di produzione e distribuzione di bevande alcoliche, nota in particolare per il Vecchio Amaro del Capo. ServiziUno degli elementi di maggior spicco dell'economia vibonese è senza dubbio il commercio che vede nel centro commerciale Vibo Center (il secondo della Calabria) e nei corsi Vittorio Emanuele III e Umberto gli apici. Turismo«Appena la vidi seppi che quella terra, dalla quale si scorgevano magiche isole era la mia seconda terra, e qui sono venuto a vivere. Sto su un promontorio alto sul mare e un panorama stupendo» Vibo Valentia è situata presso la costa degli Dei, un'importante area turistico-balneare della Calabria. Infrastrutture e trasportiStrade
Ferrovie
PortiIl porto di Vibo Marina è un'importante base commerciale e turistica per attività quali la commercializzazione di pesce, frumento e petrolio; dal porto partono durante il periodo estivo collegamenti per le Isole Eolie. Numerosi cantieri per la manutenzione di piccole e medie imbarcazioni sorgono all'interno della struttura. Nella zona del porto è presente la sede degli uffici doganali (frazione di Vibo Marina). AeroportiAmministrazioneGemellaggi
SportPrincipali impianti sportivi
PallavoloMaschile
Femminile
Calcio
Calcio a 5
Ciclismo
Olimpionici
Note
Bibliografia
Voci correlateAltri progetti
Collegamenti esterni
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