Ciacco
Ciacco è un personaggio letterario, citato da Dante Alighieri nell'Inferno tra i golosi (VI, vv. 34-75) e anche da Giovanni Boccaccio in una novella del Decameron. La sua figura non è ancora stata individuata storicamente. Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: così questo personaggio si presenta a Dante e Virgilio nel VI canto. Ciacco è un sostantivo al quale si attribuiva normalmente il significato di "porco"; ma Ciacco era semplicemente da intendere come il diminutivo dei nomi Jacopo e Giacomo. Non sappiamo quale dei due significati abbia voluto intendere Dante, ma è probabile che intendesse entrambe le interpretazioni come valide. Ciacco nell'Inferno di DanteSi presenta in questo modo ai viandanti: «Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: Lascia spazio a numerose interpretazioni, come ad esempio quella di Francesco da Buti, uno dei più antichi commentatori della Commedia, che suggerisce una natura dispregiativa di questo nome: "Ciacco dicono alquanti che è nome di porco, onde costui era così chiamato per la golosità sua". In realtà l'uso della parola Ciacco come sinonimo di porco non è documentata prima del testo dantesco. Dalle parole di Dante sappiamo solo che egli era ancora in vita quando Dante era nato, per cui si può presumere che sia un personaggio della generazione precedente a quella del poeta. Generalmente non accettata, perché senza alcun riscontro plausibile, è l'identificazione con il poeta Ciacco dell'Anguillara. Il suo personaggio ha dei tratti grotteschi, per la sua apparizione improvvisa, per i suoi bruschi silenzi (e più non fe' parola... "Più non ti dico e più non ti rispondo") e per quel suo modo di guardare Dante storcendo gli occhi alla fine dell'episodio: forse per lo sforzo di restare seduto mentre il suo destino lo rispinge in basso, forse perché riassalito dalla bestialità del suo girone dopo aver conosciuto quei pochi minuti di lucidità che gli erano stati concessi per parlare con Dante. La profeziaCiacco pronuncia la prima profezia sulle vicende politiche di Firenze ai vv.58-75 (la seconda sarà di Brunetto Latini Inf. XV, 68). Egli risponde inizialmente in maniera molto asciutta a tre domande di Dante: «ma dimmi, se tu sai, a che verranno / Esse significano: 1."A cosa arriveranno i cittadini della città divisa (partita)? 2.Vi è alcuno giusto? 3.Qual è la ragione di tanta discordia?" Ciacco risponde con ordine: «E quelli a me: "Dopo lunga tencione /
Dopo queste parole Ciacco torna muto ed è Dante che deve sollecitare un'altra richiesta: "Qual è la sorte di un gruppo di Fiorentini illustri della passata generazione, «ch'a ben far puose li 'ngegni» (Inf. VI, 81)? Essi sono Farinata degli Uberti, Arrigo, non più nominato nella Commedia, Mosca dei Lamberti, Tegghiaio Aldobrandi, Jacopo Rusticucci. Ciacco dice che essi sono tra le anime più nere e che si trovano nei cerchi inferiori dell'Inferno. Qui avviene un'altra tappa del processo di conversione del poeta: dopo aver visto che anche gli effetti della poesia amorosa, al quale aveva aderito in gioventù, possono portare alla dannazione, con l'episodio di Paolo e Francesca, adesso il poeta scopre che anche il valore politico in vita non garantisce la salvezza divina. Il fatto che Ciacco non citi Dante del suo esilio ha fatto pensare ad alcuni (in particolare a Boccaccio) che queste prime cantiche dell'Inferno fossero state scritte verso il 1301, prima cioè che il poeta venisse a sapere della sua condanna. In realtà queste intuizioni si basano su indizi molto flebili (lo stesso Ciacco cita avvenimenti del 1302 e dice come l'egemonia dei Neri sarà lunga), e oggi si è propensi a pensare che il poeta volesse semplicemente sviluppare gradualmente il tema politico e quello delle profezie, lasciando per più tardi il vaticinio del suo esilio, pronunciato da Farinata degli Uberti nel X canto. Ciacco in BoccaccioBoccaccio pure citò Ciacco nelle Esposizioni, parlando del suo carattere: Fu costui uomo non del tutto di corte; ma, per ciò che poco avea da spendere ed erasi, come egli stesso dice, dato del tutto al vizio della gola, era morditore e le sue usanze erano sempre co' gentili uomini e ricchi, e massimamente con quelli che splendidamente e dilicatamente mangiavano e beveano, da' quali se chiamato era a mangiare, v'andava, e similmente, se invitato non era, esso medesimo s'invitava, ed era per questo vizio notissimo uomo a tutti i Fiorentini. Senza che, fuor di questo, egli era costumato uomo, secondo la sua condizione, ed eloquente e affabile e di buon sentimento; per le quali cose era assai volentieri da qualunque uomo ricevuto. Giovanni Boccaccio ne fa il protagonista della novella ottava della nona giornata del Decameron descrivendolo come «uomo ghiottissimo quanto alcun altro fosse giammai... per altro assai costumato e tutto pieno di belli e piacevoli motti» confermando questa opinione nelle sue Esposizioni sopra la Commedia senza però rendere mai noto il vero nome di questo personaggio. È difficile dire se Boccaccio attingesse a fonti attendibili, ma questo nome non è mai stato trovato prima di Dante in letteratura. Anche nelle novelle del Boccaccio non è possibile capire se il nome "Ciacco" fosse destinato a indicare il dispregiativo di "porco" oppure l'abbreviazione dei nomi Jacopo e Giacomo. Bibliografia
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