Augusta Viromanduorum, identificata con l'odierna città di San Quintino[1] era la capitale e il centro amministrativo del popolo celtico dei Viromandui nella provincia romana della Gallia Belgica seconda, come testimoniato dalla Notitia Galliarum dell'inizio del V secolo.[2] L'evangelizzazione della civitas Veromandensis è attribuita dalla tradizione a san Quintino, la cui passio menziona il suo martirio ad Augusta Viromanduorum nella seconda metà del III secolo. Il primo vescovo storicamente documentato è Sofronio, che prese parte al concilio di Orléans nel 511.
All'epoca del Basso Impero, in concomitanza con la diffusione del cristianesimo, la capitale fu trasferita nella città di Vermand, dove i vescovi posero la loro residenza. In seguito, all'epoca del vescovo san Medardo (prima metà del VI secolo), la sede episcopale fu nuovamente trasferita da Vermand a Noyon, probabilmente a causa della distruzione dell'antica capitale ad opera dei barbari; contestualmente la diocesi di Tournai fu soppressa ed il suo territorio affidato ai vescovi di Noyon.[3]
Dal punto di vista religioso, come di quello civile, la diocesi dipendeva dalla provincia ecclesiastica dell'arcidiocesi di Reims, sede metropolitana provinciale. Essa comprendeva due pagi: il pagus Viromandensis, corrispondente al Vermandois, e il pagus Noviomensis, corrispondente al Noyonnais.[4]
Il vescovo Acario, nella prima metà del VII secolo, si occupò attivamente della rievangelizzazione del territorio di Tournai, favorendo l'attività missionaria del vescovo itinerante sant'Amando, che in seguito venne nominato vescovo di Maastricht. Il successore di Acario, sant'Eligio, si recò di persona nel territorio tornacense, per continuare l'opera di Amando nella lotta contro il paganesimo, ancora molto attivo in quelle terre.
Le diocesi di Noyon e di Tournai furono separate nel 1146; per compensare la perdita di questa regione, i vescovi di Noyon ottennero il titolo di conte e di pari di Francia. Contemporaneamente fu dato inizio alla costruzione dell'attuale cattedralegotica.
^Il dato tradizionale attribuisce all'epoca di san Medardo l'unione delle sedi di Noyon e di Tournai; secondo Duchesne invece l'unione sarebbe avvenuta alla fine del VI secolo o all'inizio del VII (cfr. op. cit., p. 115). Questa tesi, condivisa da Joseph Warichez nell'opera Les Origines de l'église de Tournai (1902), è screditata da Armand d'Herbomez, secondo il quale la sede di Tournai, pur eretta nel VI secolo, non ebbe vescovi propri prima del 1146 (cfr. recensione al libro di Warichez in Bibliothèque de l'école des chartes, 64 (1903), pp. 402-404).
^Gli antichi cataloghi episcopali, non anteriori al XII secolo, inseriscono undici nomi di vescovi prima di Sofronio (cfr. Gallia christiana e Gams), il primo storicamente documentato. Come fa notare Louis Duchesne, nessuno di questi è altrimenti documentabile; inoltre i primi quattro (Ilario, Martino, Germano e Massimino) sono nomi di importanti vescovi della Gallia, cosa che fa supporre allo storico bretone che gli antichi dittici di Noyon iniziavano con il ricordo liturgico dei più importanti santi del regno francese; gli altri nomi sembrano ripresi da cataloghi episcopali delle diocesi vicine a quella di Noyon.
^Dopo Gundulfus, gli autori di Gallia christiana inseriscono un vescovo di nome Chrasmarus; nei cataloghi medievali un vescovo di questo nome è menzionato dopo Guarolfo; Duchesne lo identifica con il Transmarus documentato nel 700 circa.
^Dopo Mommolino, Gallia christiana inserisce il vescovo Autgarius sulla testimonianza del Mabillon, assente tuttavia negli antichi cataloghi episcopali. Duchesne annota come il documento che lo menziona non indica la sede di appartenenza e che la sua attribuzione a Noyon è una indebita congettura di Mabillon.
^Il catalogo episcopale medievale unisce i nomi di questi due ultimi vescovi nella formula: Guido cum Eunutio. Secondo Duchesne questa dicitura, alquanto singolare, ha dato luogo a molte ipotesi e congetture.
^Contravvenendo alle disposizioni di papa Pio VII contenute nella Qui Christi Domini, il vescovo Grimaldi non si dimise, fuggì a Londra dove morì nel 1804.