Questioni romane
Le Questioni romane (Αἰτίαι Ῥωμαϊκαί - Quaestiones Romanae) sono un'opera di Plutarco contenuta nei suoi Moralia[1]. StrutturaL'opera[2], compresa nel Catalogo di Lampria al n. CXXXVIII, è un tentativo di spiegare 113 usanze romane, la maggior parte delle quali di tipo religioso. Il trattato è, inoltre, uno dei tre di tipo erudito-antiquario scritti da Plutarco; due sono stati conservati e il terzo, le Quaestiones Barbaricae[3], è perduto. Il libro fu probabilmente pubblicato dopo la morte di Domiziano nel 96, anche se questa è una deduzione non del tutto certa derivabile dal testo[4]. Il titolo greco, che significa "cause", è citato due volte da Plutarco stesso nelle Vite[5] e indica le "origini" (in quasi tutti i casi sono riportate almeno due), dei quali, presumibilmente, non più di uno può essere giusto. Così le altre spiegazioni possono indicare i risultati delle ricerche di Plutarco in materia o le sue speculazioni. Analisi criticaDi conseguenza l'opera, che è una fonte importante in particolare per le usanze religiose, è di grandissimo aiuto per gli studiosi di storia delle religioni. L'opera, del resto, mostra come l'autore non fosse affatto ignorante del latinoː Plutarco, in effetti, nella sua Vita di Demostene[6], modestamente professa di non avere profonda conoscenza del latino; eppure aveva letto una notevole quantità di opere in quella lingua e aveva trascorso qualche tempo a Roma, quindi era in grado di utilizzare le opere latine nella compilazione delle Questioni. Anzi, egli cita nel trattato alcuni scrittori romani, in particolare Varrone e Verrio Flacco e Livio. Altre autorità romane sono menzionate di tanto in tanto, come Catone il Censore, Nigidio Figulo, Antistio Labeone, Ateio Capitone e Fenestella; ma non c'è dubbio che anche altri furono utilizzati, come risulta da espressioni quali "si dice", "alcuni dicono" e simili. NoteBibliografia
Voci correlateCollegamenti esterni
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