Matteo Bandello
Matteo Bandello (Castelnuovo Scrivia, 1485 – Bazens, 1561) è stato un vescovo cattolico e scrittore italiano del Cinquecento. Da alcuni studiosi è considerato il più importante novelliere del Rinascimento[1]. BiografiaNacque nel 1485[2] a Castelnuovo Scrivia, ora in provincia di Alessandria, in Piemonte, ma all'epoca considerato terra lombarda (nell'epistola dedicatoria della Novella I, indirizzata a Ippolita Sforza Bentivoglio, il Bandello dichiara "io son Lombardo in Lombardia alle confini della Liguria nato"),[3] volendo egli sempre sottolineare essere lombarde le sue origini e la sua lingua. Non risulta che abbia avuto fratelli o sorelle, né è noto il nome di sua madre, della quale egli non parla mai. Il padre Giovan Francesco doveva essere un cortigiano degli Sforza, poiché Matteo scrive come, alla caduta di Ludovico il Moro nel 1499, egli fosse riparato a Roma sotto la protezione di Prospero e di Pompeo Colonna.[4] Nella sua biografia di Vincenzo Bandello, zio di Matteo, Leandro Alberti dichiara che egli non era di nobile famiglia,[5] mentre lo scrittore rivendica la nobiltà[6] dei suoi antenati (la famiglia Bandelli, di origine ostrogota), che sarebbe risalita all'anno 962, quando l'imperatore Ottone I avrebbe accordato loro il feudo di Castelnuovo, perduto però nel 1277 nelle lotte tra i Torriani e i Visconti.[7] Del resto, i Bandello intrapresero spesso carriere di qualche prestigio, come lo stesso zio Vincenzo, priore del convento milanese di Santa Maria delle Grazie e dal 1501 generale dell'Ordine domenicano, l'altro zio paterno Cristoforo, teologo francescano, o i cugini Antonio, «dottissimo filosofo e poeta soavissimo»[8] e Girolamo, «uomo ne le lettere greche e latine dottissimo e medico eccellente».[9] In convento a Milano![]() A dodici anni, nel 1497, Matteo era a Milano ed entrava nel convento domenicano retto dallo zio Vincenzo. Qui vide il grande Leonardo dipingere sulla parete del refettorio l'ultima cena:[10] «Soleva [...] andar la mattina a buon'ora a montar sul ponte, perché il Cenacolo è alquanto da terra alto; soleva, dico, dal nascente sole sino a l'imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare e il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì che non v'avrebbe messa mano e tuttavia dimorava talora una o due ore del giorno e solamente contemplava, considerava ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L'ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di solito partirsi e andar altrove.» Nel convento di Milano Matteo pronunciò i voti nel 1500. Per completare gli studi, fu trasferito a Pavia, dove fu allievo di Tommaso De Vio e di Giasone del Maino, poi a Ferrara e quindi a Genova, dove concluse gli studi nel convento di Santa Maria del Castello e fu condiscepolo e amico di Giovanni Battista Cattaneo, del quale commemorò la morte prematura nel 1504 con il suo primo scritto, la Religiosissimi Beati Fratis Joannis Baptistae Cattanei Genuensis, Ordinis Praedicatoris novitii Vita.[11] Dal 1505 lo zio Vincenzo lo prese con sé come guardasigilli in un lungo viaggio di ispezione ai conventi domenicani d'Italia, forse per fargli acquisire quell'esperienza degli uomini e delle cose necessarie a seguire una prestigiosa carriera diplomatica e giuridica. A Firenze si sarebbe innamorato platonicamente della giovane Violante Borromeo, che Bandello celebrerà un giorno con il nome di Viola, dopo la morte della ragazza avvenuta già nel 1506, in due strofe dei Canti XI.[12] Come a Firenze, anche a Roma il giovane frate diede prova del suo spirito mondano frequentando le famose cortigiane Isabella de Luna e Imperia,[13][14] e il ricchissimo banchiere Agostino Chigi.[15] Furono poi a Napoli, e qui Matteo conobbe le opere del Pontano, e dal De prudentia e dal De fortuna dell'umanista egli trasse l'idea del primato della ragione nella guida delle azioni umane, insieme però al ruolo imponderabile esercitato dal caso. In Calabria, nel convento di Altomonte, il 27 agosto 1506 morì improvvisamente Vincenzo Bandello e il nipote ne accompagnò la salma per la sepoltura in San Domenico Maggiore a Napoli. Matteo, depresso anche per la notizia della morte di Violante, si ammalò gravemente - di «mal d'amore», disse[16] - e si ebbe l'affettuosa e protettiva vicinanza di Beatrice d'Aragona, la vedova dell'ex-re d'Ungheria Mattia Corvino, alla quale dedicherà dei versi.[17] Ristabilitosi, ai primi mesi del 1507 Matteo Bandello fece ritorno al convento di Santa Maria delle Grazie di Milano, dove soggiornerà, salvo qualche interruzione, fino al 1526. A Milano, in quegli anni in mano francese (1506-1512), Bandello continuò lo studio delle lettere e dell'esercizio del latino, proponendosi in un'intensa attività mondana e cortigiana nei circoli umanistici collegati ai salotti delle famiglie aristocratiche e borghesi della città. Nelle case degli Archinto, degli Atellani, dei Borromeo, dei Paleari, dei Sanseverino, dei Della Torre e dei Bentivoglio, trasferitisi a Milano in seguito alla perdita della signoria bolognese, conobbe e frequentò poeti e poetesse, Lancino Curzio, Stefano Dolcino, Antonio Fregoso, e Cecilia Gallerani, Margherita Pelletta Tizzone, Camilla Scarampa. Dei letterati conobbe Leandro Alberti, Niccolò Amanio, Jacopo Antiquario, Tommaso Castellano, Girolamo Cittadino, Marcantonio Sabino, Tommaso Radini Tedeschi e Girolamo Tizzone, e degli storici e cronachisti Marco Burigozzo, Bernardino Corio, Antonio Grumello e Giovanni Andrea Prato. ![]() Sotto protezione dei GonzagaFuoriuscito da Milano dopo la Battaglia di Marignano del 14 settembre 1515, chiese protezione ai Gonzaga di Mantova dei marchesi Francesco II Gonzaga e Isabella d'Este. A Mantova si innamorò di una certa "Mencia" (forse da Mincio), donna rimasta sconosciuta, che venne citata in alcune rime.[18] Frequentò anche altre corti gonzaghesche, tra cui Gazzuolo, ospite di Antonia del Balzo[19] e Castel Goffredo,[20] dove giungendo nel marzo 1538 scrisse: «… giunsi al castel c'ha di Gioffredo il nome.» Qui soggiornò dal 1538 al 1541, con il condottiero Cesare Fregoso suo protettore, Costanza Rangoni e i loro figli, alla sfarzosa corte del marchese Aloisio Gonzaga,[23] del quale divenne segretario. A Castel Goffredo incontrò Lucrezia Gonzaga, che divenne sua discepola[22][24] e della quale si innamorò; per essa scrisse Canti XI delle lodi della signora Lucrezia Gonzaga di Gazuolo[25]. Il Bandello fu in contatto epistolare con la regina di Navarra Margherita d'Angoulême e mentre si trovava a Castel Goffredo, scrisse a Margherita una lettera, datata 20 luglio 1538, dedicandole la traduzione dell'Ecuba di Euripide.[22] Ultimi anni di vita e morteDopo aver lavorato come diplomatico al seguito di diversi signori, sfruttò i legami con il re di Francia Enrico II (presso la cui corte aveva soggiornato per due anni) per diventare nel 1550 vescovo di Agen, un incarico ad interim dal quale si dimise nel 1555. Da quell'anno non si hanno più notizie. Documenti ormai scomparsi facevano risalire la sua morte a Bazens nel 1561, e la sua sepoltura nel vicino convento domenicano di Port-Sainte-Marie, andato distrutto nel 1562 durante le guerre di religione. L'attività letteraria![]() L'importanza letteraria di Bandello va ricercata - più che in alcune opere minori come un Canzoniere in stile petrarchesco e ai capitoli de "Le tre Parche" - nell'ampia produzione di Novelle (in totale 214) contenute in tre libri pubblicati nel 1554 da Vincenzo Busdraghi e in una quarta parte pubblicata postuma nel 1573. Nel suo novelliere, pensato per un pubblico cortigiano, Bandello abolisce la cornice e premette a ogni novella una dedica ad un personaggio illustre, nella quale fa riferimento all'occasione in cui sarebbe stata raccontata la novella stessa: in questo modo la narrazione non viene riferita ad una società ideale, ma alle occasioni reali di incontro della società contemporanea. I materiali narrativi hanno le origini più diverse, e diverse sono le ambientazioni, ma i diversi racconti intendono essere una vera e propria cronaca della vita contemporanea. Per quanto concerne il problema della lingua, Bandello rifiutò i canoni bembeschi, preferendo un linguaggio di uso tipicamente cortigiano. Bandello come ispiratore di autori successiviLa cultura italiana godeva di grande prestigio presso la corte inglese del Cinquecento, tanto che si attingeva a piene mani dalla letteratura virgiliana, ma anche petrarchesca e boccaccesca. Matteo Bandello non fu da meno come fonte di ispirazione: George Gascoigne nel suo ciclo di poesie del Green Knight (incluso in "The Posies", 1575) affermò di ispirarsi ad un immaginario autore italiano di novelle, tal Bartello: questo nome era un chiaro riferimento al novelliere Bandello. Invece Lope de Vega si servì per la maggior parte dei testi originali italiani delle Novelle - anche se già nel 1589 era stata pubblicata a Salamanca da Pedro Lasso e Juan de Millis Godínez una traduzione spagnola (eseguita da Vicente de Millis Godínez, fratello del precedente, a partire da quella francese di Boaistuau e Belleforest del 1559) contenente, però, solo 14 novelle - come fonte d'ispirazione per almeno sedici delle sue commedie, tra le quali si conta anche una versione a lieto fine della stessa storia dei due sfortunati amanti di Verona, dal titolo Castelvines y Monteses. La novella 4 della parte II servì da spunto invece a Miguel de Cervantes per alcuni degli elementi della storia della sua novella ejemplar La española inglesa; e molti altri autori spagnoli del Cinquecento e del Seicento, da Joan de Timoneda a María de Zayas, si servirono delle novelle del vescovo di Agen come materiale diegetico per le loro novelle e per le loro commedie. Opere
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Note
Bibliografia
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